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Patrimoni Unesco: 2021, Padova Urbs Picta- Giotto, la Cappella degli Scrovegni ed i cicli pittorici del Trecento

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Viaggio tra i Patrimoni Unesco in Italia

La città di Padova, piccolo scrigno d’arte e bellezza in Veneto, torna a far parlare di sé nello scenario dei patrimoni della cultura mondiale.

Dopo l’Orto Botanico che rappresenta la nascita della scienza botanica, degli scambi scientifici e della comprensione del rapporto tra natura e cultura, è il turno di un insieme di capolavori che si possono ammirare all’interno di alcuni tra i più importanti edifici di culto della città.

Padova Urbs Picta- Giotto, la Cappella degli Scrovegni ed i cicli pittorici del Trecento, rappresenta il progetto di un sito seriale entrato a pieno titolo tra i Patrimoni UNESCO nel luglio 2021 

Otto complessi edilizi religiosi e secolari, all’interno delle mura della città di Padova, che ospitano una selezione di cicli di affreschi dipinti tra il 1302 e il 1397 da diversi artisti, per committenti differenti e all’interno di edifici dalle diverse destinazioni.

Cicli pittorici che, nel loro insieme, illustrano come, solo in un secolo, l’arte dell’affresco si sia sviluppata di pari passo con un nuovo impeto creativo e una nuova comprensione della rappresentazione spaziale, mantenendo unità di stile e contenuto.

I luoghi della città di Padova in cui si è sviluppato questo sito seriale Patrimonio dell’Umanità sono: la Cappella degli Scrovegni, la Chiesa degli Eremitani, il Palazzo della Ragione, la Cappella della Reggia Carrarese, il Battistero della Cattedrale, la Basilica e il Convento di Sant’Antonio, l’Oratorio di San Giorgio e l’Oratorio di San Michele.

La Cappella degli Scrovegni

Ex cappella privata divenuta sito museale, si trova nel centro storico di Padova e ospita un noto ciclo di affreschi di Giotto dei primi anni del XIV secolo, considerato come uno dei capolavori dell’arte occidentale e l’inizio di uno sviluppo rivoluzionario nella storia della pittura murale.

Intitolata a Santa Maria della Carità, la meravigliosa cappella fu commissionata da Enrico degli Scrovegni, che agli inizi del Trecento aveva acquistato da un nobile decaduto, Manfredo Dalesmanini, l’area dell’antica arena romana di Padova. Qui provvide a edificare un sontuoso palazzo, di cui la cappella era oratorio privato e futuro mausoleo familiare.

Chiamò ad affrescare la cappella il fiorentino Giotto, il quale, dopo aver lavorato con i francescani di Assisi e di Rimini, era a Padova chiamato dai frati minori conventuali ad affrescare la sala del Capitolo, la cappella delle benedizioni e probabilmente altri spazi nella Basilica di Sant’Antonio. Il lavoro di Giotto fu racchiuso in un arco di tempo compreso tra il 25 marzo 1303 e il 25 marzo 1305, in cui venne dipinta l’intera superficie interna dell’oratorio con un progetto iconografico e decorativo unitario.

L’aula si presenta interamente affrescata su tutte e quattro le pareti. Giotto stese gli affreschi su tutta la superficie, organizzati in quattro fasce dove sono composti i pannelli con le storie vere e proprie dei personaggi principali divisi da cornici geometriche.

La forma asimmetrica della cappella, con sei finestre solo su un lato, determinò il modulo della decorazione. Il ciclo pittorico, incentrato sul tema della salvezza, ha inizio dalla lunetta in alto sull’Arco Trionfale, quando Dio decide la riconciliazione con l’umanità affidando all’Arcangelo Gabriele il compito di cancellare la colpa di Adamo con il sacrificio di suo figlio fatto uomo.

Prosegue con le Storie di Gioacchino ed Anna (primo registro, parete sud), le Storie di Maria (primo registro, parete nord), ripassa sull’Arco Trionfale con le scene dell’Annunciazione e della Visitazione, cui seguono le Storie di Cristo (secondo registro, pareti sud e nord). L’ultimo riquadro della Storia Sacra è la Pentecoste.

Subito sotto si apre il quarto registro delle due pareti laterali, quello più in basso, riporta il percorso con allegorie a monocromo che simboleggiano i Vizi sulla sinistra (Stultitia, Inconstantia, Ira, Iniusticia, Infidelitas, Invidia, Desperatio) e le Virtù sulla destra (quattro cardinali, Prudencia, Fortitudo, Temperantia, Iusticia,), alternate a specchiature in finto marmo.

Vizi e virtù corrispondenti si fronteggiano a coppia, in modo da simboleggiare il percorso verso la beatitudine, da effettuarsi superando con la cura delle virtù gli ostacoli posti dai vizi corrispondenti, seguendo uno schema filosofico-teologico di ascendenza agostiniana.

La controfacciata è interamente occupata dal magnifico Giudizio Universale.

Al centro esatto c’è la mandorla iridata con Cristo Giudice. Ai due lati i dodici apostoli, seduti in trono, creano un piano che taglia la scena in orizzontale. Nella parte superiore Giotto dipinge le schiere angeliche, in quella inferiore, a destra, l’orrore dell’Inferno e, a sinistra, due processioni di eletti disposte in parallelo su piani sovrapposti.

La chiesa degli Eremitani

Dedicata ai Santi Filippo e Giacomo, è un luogo di culto cattolico medievale presente in piazza Eremitani a Padova, costruita a partire dal 1264 come chiesa dell’Ordine degli eremitani di sant’Agostino.

Secondo la tradizione la costruzione fu compiuta sotto la guida di fra’ Giovanni degli Eremitani, mentre l’edificio, straordinario esempio dello stile “classicheggiante” che si sviluppò nella Padova di età comunale, conserva insigni opere d’arte, tra cui i primi lavori pittorici di Andrea Mantegna.

La chiesa attuale fu completata attorno al 1306 da fra’ Giovanni degli Eremitani con la realizzazione del soffitto ligneo e della facciata, caratterizzata dalla pseudo-loggia con archi di pietra, che corre anche lungo il lato meridionale.

La facciata a capanna, all’esterno, è aperta in alto da un rosone, mentre la parte inferiore presenta uno pseudo loggiato in pietra a cinque arcate. Il portale laterale meridionale, di epoca rinascimentale, è decorato da dodici altorilievi che raffigurano i mesi, opera del fiorentino Niccolò Baroncelli e risalente al 1422.

L’interno è costituito da una navata unica, con soffitto a carena di nave rifatto nel secondo dopoguerra seguendo il modello originale. Nella cappella della famiglia Cortellieri, situata sul lato desto della navata, sono visibili alcuni resti di un ciclo pittorico realizzato da Giusto de’ Menabuoi attorno al 1370, raffigurante la Gloria di Sant’Agostino con le Virtù e con le Arti Liberali.

La cappella maggiore è decorata da un ciclo di affreschi di Guariento che dopo le distruzioni belliche ricopre solo la parete sinistra (settentrionale), con le Storie di san Filippo e sant’Agostino nei tre registri superiori, mentre nello zoccolo a monocromo si trovano le allegorie dei Pianeti e delle Età dell’uomo. L’attività pittorica di Guariento nell’abside maggiore è da far risalire per via stilistica agli anni 1361-1365.

Nel braccio destro del transetto della chiesa degli Eremitani si trova la Cappella Ovetari, celebre per aver ospitato un ciclo di affreschi di Andrea Mantegna, dipinto tra il 1448 e il 1457. Opera chiave del Rinascimento padovano, il ciclo è anche una delle vittime più illustri nel patrimonio artistico italiano.

Durante la seconda guerra mondiale, infatti, la cappella venne bombardata e gli affreschi vennero quasi completamente distrutti (si salvarono solo due scene staccate in precedenza e pochi frammenti). Oggi è comunque possibile farsene un’idea mediante foto d’epoca, in bianco e nero, e tramite alcuni frammenti sparsi che sono stati ricomposti in occasione di un capillare restauro concluso nel 2006.

Tra il presbiterio e la Cappella Ovetari è posta la piccola Cappella Dotto, sulla cui parete destra ospita il monumento funebre di Francesco Dotto, mentre la cappella dedicata ai santi Cosma e Damiano, ma conosciuta come Cappella Sanguinacci, si trova ala sinistra dell’altare maggiore. Sulla parete di destra in alto vi è l’affresco con la Madonna e Santi, opera del Maestro del Coro Scrovegni, risalente circa al quarto decennio del XIV secolo.

Il Palazzo della Ragione

Era l’antica sede dei tribunali cittadini e del mercato coperto di Padova, ruolo che ebbe non solo in età comunale, ma, sia pure con uso ridotto, anche durante la signoria Carrarese e tutta la dominazione Veneziana, fino al 1797. Fu però anche sede commerciale, unica funzione questa che mantenne nel tempo.

La forma attuale è opera di frate Giovanni degli Eremitani che, tra il 1306 e il 1309, fece alzare la grande volta in legno a due calotte ed aggiungere il porticato e le logge coprendo le scale. Il tetto fu rifatto a capriate in legno di larice, senza colonne centrali e ricoperto da piastre di piombo.

Il piano superiore è occupato dalla più grande sala pensile del mondo, detto “Salone” (misura 81 metri per 27 ed ha un’altezza di 27 metri) con soffitto ligneo a carena di nave, mentre il piano inferiore ospita invece lo storico mercato coperto della città.

Il Salone è decorato da un grandioso ciclo di affreschi a soggetto astrologico, completati tra il 1425 e il 1440. Gli affreschi, dovuti a Niccolò Miretto e Stefano da Ferrara, si svolgono nelle “tre fasce superiori” delle quattro pareti su oltre 200 metri lineari.

Il punto di partenza è l’angolo sud-est, parete su piazza delle Erbe, dove sta il segno dell’Ariete, corrispondente all’equinozio di primavera. Il tema astrologico è diviso in dodici comparti corrispondenti ai mesi, articolati ciascuno in tre fasce di nove ripiani.

Nella “fascia inferiore” sono raffigurate le insegne dei giudici, simboleggiate da animali, a cui si aggiungono le quattro virtù cardinali e le tre virtù teologali, i Santi protettori di Padova (come santa Giustina e Antonio di Padova) e i dottori della Chiesa.

Al grande salone si accedeva attraverso quattro scalinate che prendevano il nome dal mercato che si svolgeva ai loro piedi. Il Salone, infatti, divide le due grandi piazze, delle Erbe e della Frutta, principali sedi dei mercati padovani. L’antico edificio venne demolito nel 1873 e sostituito dall’attuale palazzo, che porta lo stesso nome, progettato da Camillo Boito.

La Loggia dei Carraresi 

Un edificio storico situato in via Accademia e costituisce l’ultima parte sopravvissuta per intero della Reggia Carrarese, la grande residenza dei Da Carrara, signori di Padova. Il complesso della Reggia, fatto costruire fra il 1339 e il 1343, comprendeva un Palazzo di ponente (più antico) e un Palazzo di levante, collegati fra loro mediante un edificio centrale.

Dal Palazzo di ponente partiva il cosiddetto traghetto alle mura, un passaggio sopraelevato, percorribile anche a cavallo, che univa la Reggia alla cinta muraria, al Castello e alla Torlonga. Questo permetteva al Signore un più facile spostamento, oltre che una maggior possibilità di fuga in caso di pericolo.

La Loggia è ciò che resta del Palazzo di ponente ed è tuttora sede dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti. Nelle sue sale è esposta la famosa mappa di Padova realizzata in china e acquarellata a seppia dal cartografo e accademico Giovanni Valle nel 1784, che si avvalse per primo dei calcoli trigonometrici per le sue piante.

Nel corso dei secoli, il complesso degli edifici della Reggia ha subito demolizioni e modifiche, e il fronte della loggia è l’unica struttura rimasta quasi intatta. Caratterizzata da un doppio ordine di nove colonne in marmo rosa di Verona disposte su due livelli, la loggia fu realizzata su disegno di Domenico da Firenze e fu voluta da Ubertino da Carrara.

Nelle stanze retrostanti si trova la Sala delle Adunanze dove è presente ciò che resta della Cappella privata, terminata prima del 1354 quando fu ospite il futuro imperatore Carlo IV. Qui si trovano alcuni affreschi del Guariento raffiguranti episodi biblici

La copertura era decorata di blu con stelle d’oro e aveva al centro tondi lignei raffiguranti La Madonna con il Bambino e i quattro Evangelisti. Tra le pareti e il soffitto erano disposte cinquanta tavole dipinte con le Gerarchie Angeliche, in parte conservate ai Musei Civici di Padova.

Il battistero del Duomo

Un edificio di culto ubicato accanto al Duomo di Padova, dedicato a San Giovanni Battista. La costruzione dell’edificio iniziò nel XII secolo su probabili preesistenze, mentre negli anni ’70 del XIV secolo fu restaurato e adattato a mausoleo di Francesco il Vecchio da Carrara e della moglie Fina Buzzaccarini che ne commissionò la decorazione, affidando il lavoro a Giusto de’ Menabuoi, che trovò in seguito sepoltura all’esterno dell’edificio.

Conserva al suo interno uno dei più importanti cicli ad affresco del XIV secolo, capolavoro di Giusto de Menabuoi. L’autore, rispetto alle esperienze precedenti, a Padova venne colpito dalle ordinate fissità romaniche e bizantine, come testimonia il grande Paradiso nella cupola del Battistero.

La scena è organizzata attorno a un Cristo Pantocratore, dove ruota un’ipnotica raggiera a più strati con angeli e santi, le cui aureole in file ordinate ricordano, guardate dal basso, le punzonature di una magnifica oreficeria.

Al centro del Paradiso c’è anche la Madre di Dio orante affrescata in perfetto asse simmetrico con il Cristo Pantocratore. I dipinti che coprono le pareti raffigurano episodi della vita di san Giovanni Battista (a sinistra dell’ingresso), di Maria e di Gesù.

Nella parete adiacente all’altare è rappresentata la Crocifissione, quindi la discesa dello Spirito Santo, affrescata sulla cupola dell’altare, mentre sulle pareti attorno a questo, nell’abside, sono affrescate figure mostruose e immagini tratte dall’Apocalisse di Giovanni.

Nelle Storie di Cristo e del Battista, sulle pareti, compaiono delle architetture finemente calcolate, dove il pittore inserì le sue solenni e statiche immagini. Più libera appare invece la raffigurazione negli episodi di contorno, come nelle Nozze di Cana, dove una schiera di servitori si muove con naturalezza nella stanza, a differenza degli statici commensali.

Il complesso della basilica di Sant’Antonio di Padova

Uno dei principali luoghi di culto cattolici della città. Conosciuta a livello mondiale come Basilica del Santo, è una delle più grandi chiese del mondo ed è visitata annualmente da milioni di pellegrini, che ne fanno uno dei santuari più venerati dell’universo cristiano.

La struttura è caratterizzata da una perfetta armonizzazione di diversi stili: la facciata a capanna romanica, i contrafforti che si sviluppano fino a diventare archi rampanti in stile gotico che, in parallelo, scandiscono con regolarità lo spazio.

E poi le cupole in stile bizantino, ed i due campanili gemelli che, invece, richiamano quasi dei minareti. Il complesso delle cupole rievoca non solo la Basilica di San Marco a Venezia, ma anche l’architettura romanica francese del Périgord che a sua volta rimanda a moduli bizantini.

Nella basilica sono presenti cinque arcate rientranti, quella centrale è sormontata da una nicchia contenente la statua del santo e sotto si apre la porta maggiore Nella lunetta del portale maggiore è presente una copia di Nicola Lochoff dell’affresco di Andrea Mantegna con raffigurazione di Sant’Antonio e san Bernardino che adorano il monogramma di Cristo. L’affresco originale, staccato, si conserva nel vicino convento.

Nella nicchia si può vedere la Statua in pietra di sant’Antonio, copia fatta nel 1940 da Napoleone Martinuzzi per sostituire l’originale trecentesco di Rinaldino di Francia, molto deturpato dagli anni e dalle intemperie ed ora conservato nel Museo Antoniano.

Nel corso del XX secolo vengono affrescate nuovamente le cappelle laterali, molto deteriorate dall’incuria e dal trascorrere dei secoli. Il 29 maggio 2012 la basilica è stata danneggiata da una delle scosse di terremoto che hanno colpito il territorio dell’Emilia-Romagna con distacchi su oltre tre m² di intonaco decorati dal Casanova.

I frammenti sono stati raccolti e messi al sicuro, sotto controllo della Soprintendenza. Tutto il deambulatorio che corre attorno al presbiterio è stato protetto, così che eventuali altri distacchi non possano colpire i pellegrini

L’oratorio di San Giorgio

Si trova in piazza del Santo e venne fatto costruire dal marchese di Soragna Raimondino Lupi, come cappella sepolcrale di famiglia dopo che si era stabilito a Padova nel 1376. La cappella venne edificata verosimilmente dal 1377, mentre il ciclo pittorico, commissionato ad Altichiero dopo la morte del marchese Raimondino Lupi, venne concluso nel 1384 dal nipote Bonifacio Lupi.

L’edificio è caratterizzato da una facciata a capanna con mattoni a vista, decorata da tre bassorilievi con San Giorgio che uccide il drago e lo stemma del lupo rampante della famiglia Lupi di Soragna. La struttura architettonica interna è molto simile alla cappella degli Scrovegni, con un’aula dalle pareti lisce coperta da volta a botte.

Gli affreschi sono stati eseguiti da Altichiero da Zevio. Il soffitto è dipinto con un cielo stellato attraversato da fasce con motivi floreali, dove sono inseriti busti di santi e cinque tondi per fascia con i simboli degli Evangelisti, dei Profeti e dei Dottori della Chiesa.

Le due pareti di lato sono divisi in due fasce sovrapposte: a sinistra sono raffigurate scene della Vita di San Giorgio, a destra scene della Vita e martirio di Santa Caterina d’Alessandria, in alto, e di Santa Lucia in basso.

La controfacciata presenta scene dell’Infanzia di Cristo e la parete di fondo è dominata da una grande Crocefissione, sovrastata da un’Incoronazione di Maria tra cori angelici. Ciascuna scena è contornata da grandi campiture, che ne mettono in risalto la spettacolarità.

Lo stato di conservazione non è ottimo, ma nelle parti meglio conservate si può ammirare come la stesura pittorica sia raffinatissima, con giochi di luce, morbide sfumature e brillanti accostamenti, con vertici assoluti per l’arte trecentesca.

Il ciclo dell’Oratorio di San Giorgio, nel complesso, si pone come importante ponte tra la grande tradizione trecentesca e i successivi sviluppi rinascimentali. In questi affreschi convivono la potenza espressiva di Giotto con l’atmosfera cortese del Gotico internazionale.

L’oratorio di San Michele

Sorse vicino alla Torlonga del Castello Carrarese fuori dalle mura più antiche della città. Venne edificato nel 1397 sulle rovine della Chiesa dei Santi Arcangeli, danneggiata nel 1390 da un incendio scatenato dagli scontri tra Carraresi e Visconti durante la presa della città di Padova da parte di Francesco II Novello da Carrara.

Dopo l’accaduto la famiglia de Bovi decise di costruire una cappella dedicata alla Beata Vergine Maria aprendo un varco nella navata settentrionale della Chiesa. Mediante un’iscrizione su una lapide, collocata sul muro interno, di fronte all’ingresso della cappella, è possibile conoscere: la data di costruzione, 1397, il nome del committente, Pietro di Bartolomeo de Bovi e il nome dell’artista che affrescò la cappella, Jacopo da Verona. Si tratta della Cappella Bovi, ultimo esempio di pittura ad affresco nella Padova trecentesca, il cui ciclo pittorico ruota attorno alla vita della Vergine.

L’ambiente in cui opera Jacopo da Verona risente, a distanza di quasi un secolo, di quelle ricerche di Giotto che avevano indelebilmente influenzato l’arte pittorica del Trecento. Da un lato, il suo stile fu visto come mera imitazione dei grandi maestri del suo tempo, mentre dall’altro si è resa nota una sua originalità.

Una narrazione piacevole e fluente, che sa evocare scene di origine sacra, in un contesto ambientale vicino allo spettatore del tempo, accompagnata dalla raffigurazione di una quotidianità di azioni e dalla rappresentazione di particolari familiari e cronachistici.

Osservando i ritratti di Jacopo da Verona si intravede un’affinità con l’arte di Altichiero e, per il suo realismo nelle figure umane, con Giotto. Oltre ad Altichiero però, lo stile di Jacopo mostra rimandi ad altri pittori, di cui Jacopo poté ammirare le opere durante il soggiorno a Padova.

Tra questi il toscano, ma di formazione lombarda, Giusto de’ Menabuoi e il bolognese Jacopo Avanzi, con il quale spesso Jacopo da Verona venne confuso. Quindi la bravura stilistica di questo artista sembra risiedere nel condensare l’insegnamento dei grandi maestri della pittura del XIV secolo.

Jacopo da Verona segnò l’ultima felice espressione figurativa del grande Trecento padovano, facendo emergere, come valori stilistici, la sua grande abilità nella ritrattistica e un’interpretazione narrativa, vivace e affabile della vita quotidiana.

Nel 1808 la struttura costruita dai de Bovi fu declassata ad Oratorio e questo causò il suo declino fino alla definitiva chiusura al pubblico nel 1815. Per la riapertura al culto, nel 1871, l’edificio subì un completo restauro con diverse modifiche architettoniche.

A cavallo tra Ottocento e Novecento, gli affreschi della parte settentrionale e occidentale furono staccati e applicati su telai in legno. La struttura fu riaperta negli anni Novanta e gli affreschi furono restaurati e riposizionati nell’Oratorio grazie a dei telai inseriti nelle pareti.

Nel 2000 l’Oratorio venne riaperto al pubblico in occasione della mostra “Giotto e il suo tempo”, ma dati i costanti problemi di umidità, l’edificio, e con esso gli incredibili affreschi all’interno, fu oggetto di un importante restauro.

Quest’ultimo, nonostante un’ulteriore chiusura del sito, ha permesso il consolidamento della copertura dell’edificio, un lavoro di drenaggio dell’umidità, il lavaggio dei muri esterni, il rifacimento degli intonaci danneggiati e l’opera di scavo archeologico. L’Oratorio, oggi, è regolarmente aperto al pubblico e visitabile.

Alessandro Campa

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