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I borghi più belli d’Italia: Basilicata

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Alla scoperta di un territorio dalle particolari atmosfere e suggestioni

La Basilicata, un territorio dalle particolari atmosfere e suggestioni. La regione dove si inserisce la splendida Matera dal fascino unico e speciale nel suo genere.

A farle compagnia, però, si presentano una serie di borghi dalla particolare bellezza e dalle incredibili storie.

Proprio nel territorio di Matera si trova Irsina, chiamata  Montepeloso fino al 1895.

Una terra ricca e fertile, nota per la cerealicoltura e l’allevamento del suino nero lucano, ma non solo.

Irsina, infatti, offre altri prodotti della sua tradizione contadina, come u callaridd di agnello, un’antica ricetta delle Murge, e i mastaccere, biscotti tondi e schiacciati, nelle serate agostane dedicate a concerti, mostre e percorsi enogastronomici.

Tra i monumenti più importanti del borgo si presenta sicuramente la Chiesa del convento di San Francesco con impianto architettonico ad una navata e cappelle laterali. Risalente al XII secolo, venne restaurata a più riprese a partire dal XVI secolo fino ad assumere l’attuale facciata barocca del XVIII secolo.

Ma l’edificio di culto rappresentativo di Irsina è la Cattedrale di Santa Maria Assunta, costruita nel XIII secolo e rifatta nel 1777, con facciata barocca e campanile a bifore di stile gotico, che al suo interno custodisce la statua marmorea di Sant’Eufemia, opera attribuita al Mantegna

E proprio a Sant’Eufemia, protettrice di Irsina, è dedicata la festa che si svolge dal 14 al 17 settembre. In particolare, il 16 settembre, sul sagrato della Cattedrale vengono consegnate le chiavi della città all’arcivescovo, e da questi alla patrona e custode della città, Sant’Eufemia. Segue una lunga processione per le vie del paese dell’immagine di Sant’Eufemia, della reliquia del suo braccio e dell’icona della Madonna della Divina Provvidenza.

L’ultima domenica di maggio, invece, ha luogo la Festa della Pietà, con una processione dell’immagine della Madonna della Pietà, a cui segue il tradizionale gioco del Pizzicantò, che prevede la disposizione di due squadre di giovani in cerchio, in un doppio piano, a formare una piramide umana.

Nel territorio di Potenza, invece si trova il borgo di Acerenza, situato su una rupe di tufo a oltre 800 metri sul livello del mare, racchiuso tra il fiume Bradano, che qui disegna un’ampia vallata, e il torrente Fiumarella.

Una cittadina che ricalca, dal punto di vista urbanistico, la tipologia delle cittadelle murate medioevali.

L’imponente cattedrale dell’XI secolo di stile romanico-cluniacense, consacrata all’Assunta e a San Canio, svetta su tutto il panorama del borgo. In età barocca la cattedrale cambiò aspetto, fu rivestita di stucchi, che ne stravolsero spirito ed atmosfera, e tornò com’era dopo i restauri degli anni Cinquanta.

Per conoscerla bisogna passeggiarle intorno, scrutando le mura di pietra antica, i volumi di absidi e torrette, andando alla ricerca dei mille, piccoli segreti prima di entrare, magari al tramonto, quando i raggi del sole attraversano il rosone e un fascio di luce intensa colpisce l’altare maggiore.

E davvero, girandole attorno fra gli stretti vicoli, la cattedrale svela i suoi primi tesori.

Incastonati nella trama di pietre millenarie, ecco i marmi di età romana, le figure scolpite di lapidi funerarie consunte dal tempo, le colonnine di fattura greca. Ogni dettaglio è prezioso come le antiche acquasantiere, gli affreschi e i bassorilievi

Uscendo dalla cattedrale, ci si può incamminare per i vicoletti del centro storico e soffermarsi sugli splendidi palazzi gentilizi settecenteschi con i loro portalini in pietra. Su Largo Gianturco si affaccia il Palazzo della Curia vecchia che occupa una parte dei locali dell’antico castello, di impianto longobardo-normanno-svevo, parzialmente ricostruito negli anni Cinquanta.

A San Canio, patrono del borgo, è dedicata la festa del 25 maggio, in cui il simulacro del patrono è portato in processione per le vie della cittadina, mentre agosto è il mese sia  di rassegne musicali e artistiche con l’Agosto Acheruntino che dell’evento dai Longobardi ai Normanni, storia di una cattedrale.

Una rievocazione storica, attraverso i personaggi più importanti, degli eventi che portarono alla costruzione della cattedrale di Acerenza.

All’evento, di grande richiamo in tutta la zona, partecipa l’intero borgo con un corteo di oltre 200 figuranti.

In alcune di queste occasioni si possono gustare i primi piatti della cucina tradizionale, tra cui spiccano i maccaroun a desct (pasta fatta a mano e condita con sugo di carne o abbinata a legumi) e i z’zridd (pasta di piccolo formato con fagioli o lenticchie), mentre la lagana chiappout è un dolce preparato con lagane (pasta lavorata a mano utilizzando farina di grano duro), speziato con cannella, noci, mandorle e insaporito alla fine con vino cotto.

Molto particolare anche il borgo di Venosa, di origini antichissime, come documentano gli scavi archeologici che hanno testimoniato le tracce di differenti culture, religioni ed espressioni dell’arte

Attraversare Venosa da un’estremità all’altra è come passeggiare nella storia, e lo spirito del luogo sta dunque in questa muta presenza del tempo. Il centro storico, quasi per intero,  è fatto di materiali recuperati dalle architetture civili e religiose romane. Ed è proprio questo gioco di rimandi e intrecci, di innesti e sovrapposizioni, che rappresenta il fascino della città.

Al parco Archeologico si visitano le terme romane, resti di domus private e l’anfiteatro. Gli scavi, inoltre, hanno riportato alla luce una domus patrizia del I secolo d.C. detta casa di Orazio, le catacombe ebraiche con una serie di ipogei scoperti nel 1853 e un sito paleolitico risalente a un intervallo di tempo compreso tra 600 mila e 300 mila anni fa.

Ma è la chiesa Incompiuta della Trinità, suggestiva sinfonia di pietra che seduce per il suo non-finito, il vero simbolo di Venosa.

Il complesso dell’abbazia della Santissima Trinità, di cui l’Incompiuta fa parte, si dipana nell’arco di diversi secoli.

Fondata nel V secolo, con la chiesa Vecchia impiantata sui resti di un tempio romano, alla quale si aggiunse nel 942, per opera dei Longobardi, il primo nucleo di un monastero benedettino ampliato successivamente dai Normanni.

Divenuta una delle più potenti abbazie del Sud, ma ritenuta  insufficiente alle esigenze del culto dai grandi abati benedettini, venne progettato un grandioso ampliamento, per farne probabilmente un’unica, immensa basilica. Eretti i muri perimetrali e parte del colonnato, la chiesa Nuova seguì le alterne vicende dei benedettini e, più in generale, dell’epoca, finendo così col restare Incompiuta.

Venosa è una città del vino e onora la sua tradizione con la Festa della Vendemmia ad ottobre. Un appuntamento che vede momenti di divertimento in piazza accompagnati  da musica e assaggi di vini e prodotti locali.

Il vino in questione è l’Aglianico del Vulture, vino rosso celebrato già da Orazio, con un delicato profumo di viola e un bel colore rubino che con l’invecchiamento si tinge di riflessi arancione. Un ottimo accompagnamento per le specialità culinarie di Venosa come gli strascinati, una pasta fatta in casa con sugo e cacio ricotta grattugiato o, in alternativa, lagane e ceci, tagliatelle miste a ceci cotti nella caratteristica “pignata”.

Al poeta latino Orazio, inoltre, viene dedicato un evento come il Certamen Oraziano. Durante la prima settimana di maggi gli studenti dei licei classici d’Italia, e non solo, si sfidano nella traduzione di un brano oraziano, da integrare con un commento di carattere linguistico e storico-letterario.

Nella parte meridionale della provincia di Potenza ecco la splendida località di Castelmezzano 

Un fantastico paesaggio di roccia, con il grigio-scuro delle arenarie che sembra inghiottirlo avvolgendolo in un cono d’ombra quando cala la sera.

Qui esistevano i “magiari” e un po’ tutti credevano al malocchio, al munaciedd che spaventava i bambini e al pummunar, il lupo mannaro. Gli abitanti conservano anocra i caratteri della cultura contadina: tenaci, leali e ospitali, figli di una terra che li ha temprati alle asprezze e alle difficoltà della vita.

Adagiato a una parete di guglie e picchi, Castelmezzano ha conservato l’originario impianto urbanistico medioevale. Un agglomerato concentrico di case arroccate in una conca rocciosa secondo l’antica forma di terrazzamento, con i tetti in lastre di pietra arenaria.

Molto scenografico l’arrivo in paese, che compare improvvisamente adagiato ad anfiteatro alla parete rocciosa, subito fuori da una galleria scavata nella roccia, dopo il superamento di una spettacolare gola.

Girare per il centro storico è suggestivo sia per la presenza della roccia inserita nelle costruzioni, che per le numerosissime e ripide scale e scalette che, intersecandosi tra loro, invitano a salire alle vette sovrastanti e a godere dei meravigliosi panorami delle cosiddette “Dolomiti lucane”, che per l’aspetto aspro e frastagliato ricordano le montagne delle Alpi orientali.

La chiesa Madre di Santa Maria, edificata nel XIII secolo in pietra locale nella piazza principale, conserva al suo interno una statua lignea trecentesca raffigurante la Madonna con Bambino, un altare ligneo in stile barocco e una Sacra Famiglia di Girolamo Bresciano.

Imperdibile la visita ai resti del fortilizio normanno-svevo, con la gradinata stretta e ripida scavata nella roccia che porta nel punto più alto, là dove la vedetta della guarnigione militare sorvegliava la sottostante valle del Basento.

Castelmezzano è il luogo ideale per chi ama vivere a contatto con la natura, dato che il comune è inserito dentro il Parco regionale di Gallipoli Cognato e delle Dolomiti lucane.

Oltre 27 mila ettari di bosco e di fantastiche formazioni rocciose al cui interno è possibile praticare escursioni o scalare pareti attrezzate.

A Castelmezzano è ancora viva la tradizione dei culti agrari con una serie di  importanti feste tra cui la Sagra della Quagliata, un evento in cui si produce il formaggio, si fa la quagliata appunto, durante la festa che celebra la Madonna del Bosco, la prima domenica di maggio.

In occasione di Santa Lucia, invece, ha luogo la Sagra della Cuccia, in cui, in un calderone davanti alla chiesa madre si cuoce la cuccia, un piatto di fave, grano, ceci e cicerchie che viene poi benedetto e, alla fine della Messa, distribuito a tutti i fedeli in segno di buon augurio.

L’evento più importante, però, è il Volo dell’Angelo. Un cavo sospeso a 400 metri d’altezza tra Castelmezzano e il comune dirimpettaio di Pietrapertosa, consente a tutti l’esperienza magica del volo. Un brivido che dura un minuto e mezzo e riconduce in pieno ai rituali mistico-religiosi delle leggende lucane.

E proprio di fronte a Castelmezzano si trova l’incantevole Pietrapertosa

Anche questo piccolo comune vive tra le guglie delle Dolomiti lucane  e all’interno del Parco di Gallipoli Cognato e si presenta con un’imponente massa rocciosa, porta d’ingresso all’abitato, circondato da dirupi scoscesi, monti brulli o verdi di boschi.

Pietrapertosa non presenta edifici civili di particolare pregio, grandi dimore feudali o rinascimentali, ma accosta vecchie case signorili dagli splendidi portali a casette a uno o due piani, fin che si giunge al suo cuore segreto, il quartiere arabo.

Proprio quest’ultimo, l’Arabata, è la parte più misteriosa ed affascinante del borgo, che conserva nei vicoli ripidi e nel nome le tracce dei dominatori arabi. Da lontano, l’Arabata  sembra una colata lavica di casette tra pareti rocciose, una piccola casbah accudita in un grembo di arenaria.

Ancora oggi questo angolo suggestivo non ha perso l’atmosfera severa del tempo e lo si può notare soprattutto durante l’evento Sulle tracce degli Arabi tra il 10 e il 20 agosto.  Per una decina di giorni il rione Arabata torna agli antichi fasti, tra suoni, profumi d’incenso, mercatini e il cous-cous proposto dalle locande.

Il borgo è stretto tra la chiesa matrice e il convento francescano, che sono le due emergenze più importanti del percorso storico-religioso.

Dedicata a San Giacomo Maggiore, la chiesa Madre sorge nella parte alta e si presenta oggi a due navate, frutto di molti rimaneggiamenti a partire dalla sua costruzione nel XV secolo.

Ancora più ricchi d’arte sono la chiesa e il Convento di San Francesco.  La chiesa sorge a ridosso del lato occidentale del convento, fondato nel 1474, e custodisce opere interessanti come le tele di Filiberto Guma e del Pietrafesa, entrambe risalenti al 1600, che ornano gli altari laterali.

Il castello, di epoca normanno-sveva, è ridotto a rudere ma merita assolutamente una visita per l’incomparabile panorama di rocce, cielo e tetti che si gode dalla sua sommità.   Il luogo, poi, è suggestivo di per sé, perché pieno di memorie, come quelle di Costanza d’Altavilla, madre di Federico II, che si sarebbe seduta sul “trono della regina”, scavato nella roccia.

Una particolarità di Pietrapertosa risiede anche negli antichi culti agrari del Mascio, lo sposalizio tra i due alberi più belli del bosco. Il taglio del Mascio, infatti, è la festa che più caratterizza Pietrapertosa. Il 13 giugno, giorno di Sant’Antonio, viene individuato e abbattuto il mascio, ossia l’albero re del bosco.

Il sabato successivo è abbattuta la cima, la regina del bosco, scelta tra gli agrifogli più adorni di rami e foglie. La cima e il mascio, privato di rami e corteccia, vengono quindi trascinati rispettivamente da una coppia di giovani vacche e da una pariglia di buoi.

Arrivati in paese, i due alberi sposi sono trionfalmente accolti dalla banda musicale e dall’offerta di vino e biscotti ai presenti.

Il giorno successivo, le due piante vengono innestate l’una all’altra, e la tradizione cristiana si sovrappone a quella pagana facendo intervenire la processione della statua di Sant’Antonio accompagnata dai cirii, le candele, artisticamente composte sul capo, con cui le donne ballano al suono degli organetti, mentre nel pomeriggio, i giovani del paese scalano a braccia il mascio.

Il borgo di Guardia Perticara racconta una storia antica che comincia con gli Enotri e si inscrive nella dura faccia della pietra. Un grappolo di case su un rilievo, nella remota Lucania, fatta di pietra grigia e di argilla, di devozioni intense e di silenzio.

Lo chiamano “il paese dalle case in pietra”, quella pietra di Gorgoglione che resiste in questo borgo e dà vita a portali, gradinate, archi, ballatoi e si sposa coi balconi in ferro battuto, e certamente anche con l’aria fresca che porta i profumi dei boschi ed entra nei vicoletti.

Guardia è un borgo che si percorre a passi lenti ed è meraviglioso scoprirlo salendo le scalette che si inerpicano fin su al castello, da dove si domina l’intera valle del Sauro a 700 m di altitudine, o percorrendo stradine deliziose come via Marconi o via Diaz, dove le case in pietra hanno ancora gli antichi coppi, i riquadri alle finestre e i dettagli architettonici di una sapienza costruttiva secolare.

Un luogo ideale per una manifestazione come Salotti nei Centri Storici, nella seconda metà di agosto.

Un’esposizione di prodotti artigianali e opere pittoriche, degustazione di prodotti tipici, musica, cultura e convegni, visite guidate del centro storico.

L’evento più sentito dagli abitanti, però, è la Festa di Santa Maria del Sauro, il  primo maggio e seconda domenica di agosto. Una celebrazione legata all’apparizione della Madonna nel luogo in cui oggi sorge la chiesa di Santa Maria del Sauro.

E dalla valle del Sauro provengono i prodotti che più si contraddistinguono nel borgo di Guardia Perticara. L’olio extravergine di oliva primo fra tutti, ma è anche notevole la presenza spontanea di liquirizia ed erbe officinali in genere.

Dagli allevamenti  arrivano in tavola carni di agnello, capretto e mucca podolica, ma sono ottimi anche i latticini come caciocavallo, formaggio pecorino e ricotta, da abbinare con il miele locale.

Tra le meraviglie della cucina contadina ci sono i ferricelli al sugo di carne.

Un tipo di pasta ottenuta con un ferretto di metallo, simile al ferro da calza, che viene poggiato su un impasto di farina, acqua, sale e arrotolato su se stesso.

Il sugo associato è fatto con involtini di carne di maiale e cotica ripiena con pezzi di carne utilizzata per la preparazione della salsiccia. Nel periodo di carnevale, insieme al formaggio pecorino o in sostituzione dello stesso, si sparge anche il rafano sul piatto già condito. E alla dolce nota finale ci pensano “strazzatella” e “chizzola, due biscotti tipici prodotti dai forni locali.

All’interno del Parco del Pollino e in particolare con Viggianello si conclude il viaggio nei borghi lucani.

Arroccato lungo il pendio del monte, il paese è costituito da diversi nuclei abitati, tra cui spicca quello di origine araba, nonostante Viggianello sia un borgo dalla forte impronta bizantina e normanna.

Bizantini erano i monaci che disseminarono il territorio di laure, gruppi di celle monastiche con chiesa in comune, ancora visibili ai piedi del centro storico, e bizantino era il kàstrion fortificato. Normanna, invece, è l’origine dell’insediamento attuale in collina, che ingloba l’antico abitato arabo corrispondente al quartiere Ravita.

Gli edifici di culto sono degni di nota, a partire dalla quattrocentesca cappella di San Sebastiano, di origine bizantina come diverse altre cappelle sparse nella campagna, e come la chiesa madre, ricca di opere d’arte, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria.

Tracce di Bisanzio si trovano ancora nella cupola basiliana della cappella della Santissima Trinità, con affreschi riaffioranti, e nella chiesa di San Francesco di Paola, l’unica che conservi l’esposizione est-ovest tipica degli edifici di culto bizantini.

San Francesco di Paola, patrono di Viggianello, viene celebrato la settimana dopo Pasqua e l’ultima domenica di agosto con l’arrivo della pitu, una festa rituale dell’albero documentata dal Seicento ma di evidente origine pagana.

Un rito propiziatorio in cui gli uomini, nei boschi del Pollino,  vanno alla ricerca degli abeti (pitu) o dei cerri da tagliare, defogliare, trasportare su un carro trainato da una coppia di buoi e infine da innalzare nel centro del borgo, tra processioni con la statua del santo e  musiche della banda del paese.

Fede e spiritualità continuano a manifestarsi anche l’ultima domenica di maggio e la prima domenica di settembre, con un percorso devozionale di 15 km che parte dalla chiesa di San Francesco di Paola e arriva alla chiesa della Madonna dell’Alto sui monti del Pollino.

Viggianello è un borgo che ha sempre vissuto di agricoltura e allevamento che si rispecchiano nei piatti tipici come la rappasciona, un misto di cereali e fagioli, la minestra mbastata, con patate e verdure di stagione e  la frascàtula, una verace polenta lucana.

Alessandro Campa

 

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