Governo Meloni, primo giro di boa: 100 giorni da ‘maratoneta’ a Palazzo Chigi

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Roma, 27 gen. (Adnkronos) – Cento giorni domani, lunedì 30 gennaio, da “maratoneta”, come lei stessa ha raccontato in una recente intervista al settimanale ‘Donna Moderna’ e in cui non nasconde le difficoltà, ma anche l’entusiasmo, del primo presidente del Consiglio donna e madre di una bambina di sei anni, a Palazzo Chigi. Giorgia Meloni compie un importante giro di boa, da tenace ‘underdog’ passata in 10 anni dal 2% dei consensi al 26% dei voti. Alla guida di un governo nato da una coalizione rodata, ma non per questo meno travagliata. La dice lunga la gestazione che ne ha portato alla nascita.

La formazione del governo avviene infatti in tempi lampo, meno di un mese, ma non per questo appare meno difficoltosa. Il solito braccio di ferro tra le forze di maggioranza per la ripartizione delle ‘poltrone’ viene terremotato da un audio ‘rubato’ durante l’assemblea di Silvio Berlusconi con i gruppi di Forza Italia: la lettura e il racconto del leader azzurro della crisi internazionale – dal riavvicinamento a Vladimir Putin al giudizio sul presidente ucraino fino all’analisi sull’origine del conflitto tra Mosca e Kiev – minano la fase embrionale del governo, fino a metterne a rischio la stessa nascita. Meloni mantiene il sangue freddo e lancia l’aut aut: “Atlantisti o l’esecutivo non vedrà la luce”, mette in chiaro.

Dunque sparisce dai radar, si rimette a lavoro pancia a terra, dopo meno di 24 ore sale al Colle con la lista dei ministri messa nero su bianco, il giuramento avviene l’indomani. Il governo Meloni si mette al lavoro e nel primo Cdm utile, a fine ottobre, vara un decreto anti-rave che prevede confisca degli oggetti utilizzati durante l’occupazione, reclusione da 3 a 6 anni, multe da 1.000 a 10.000 euro. Il dl, fortemente contestato dalle opposizioni e poi rivisto incisivamente dal Parlamento, introduce anche novità sull’ergastolo ostativo, nonché lo stop all’obbligo vaccinale anti-Covid per medici e professioni sanitarie.

Stretta sulla sicurezza, mano tesa a esercenti e autonomi, ‘allentamento’ della stretta anti-Covid sono i temi, i dossier, su cui Meloni marca maggiori distanze rispetto al predecessore, Mario Draghi. Sul fronte interno, naturalmente. Perché, a livello internazionale, benché la premier scelga non a caso Bruxelles per il suo primo viaggio all’estero -un chiaro messaggio di rassicurazione rivolto a chi tacciava il governo di anti-europeismo- la distanza dall’ex numero 1 della Bce emerge in tutta la sua evidenza nell’incidente diplomatico con la Francia di Emmanuel Macron.

A far scoppiare la mina, il ricollocamento di migranti a bordo della nave Ocean Viking della ong Sos Mediterranee, con oltre 230 persone a bordo. La rotta viene deviata verso la Francia dopo un colloquio tra Macron e Meloni a margine dei lavori della Cop27 a Sharm el-Sheikh. Il governo italiano ringrazia con una nota ufficiale, ma Macron non apprezza, si indispettisce per una questione che, a suo dire, andava gestita diversamente e senza rivendicazioni politiche considerate inadeguate. Meloni non incassa, in conferenza stampa risponde per le rime al Presidente francese, tanto che, per oliare i rapporti con l’Eliseo, scende in campo il Quirinale.

A Bali, per il G20, Macron e Meloni si ignorano – i due sembrano attenti a mantenere la ‘distanza di sicurezza’ durante la lunga passeggiata alla foresta delle mangrovie- ma la premier italiana riesce ad incassare bilaterali di peso, fa en plein degli incontri che contano. Con Joe Biden innanzitutto, con la promessa di volare presto a Washington, ma anche con Xi Jinping: un’ora di colloquio tra i due, intesa sugli scambi -a partire dall’export del made in Italy – e anche qui un invito, ben accetto, per una visita a Pechino quanto prima.

Al rientro a Roma sono due le sfide che attendono la premier: il voto sul decreto per tornare a inviare armi a Kiev -in piena continuità con la linea Draghi che Meloni ha sposato appieno anche quando sedeva sui banchi dell’opposizione- e la manovra da varare in tempi strettissimi. Anche qui, sulla tenuta dei conti, sul debito da tenere a bada, la presidente del Consiglio ricalca l’impostazione del suo predecessore, tanto da incassare il giudizio positivo di Bruxelles.

Che frena, però, sulle misure bandiera, ovvero quelle norme identitarie e politiche che Meloni inserisce in legge di bilancio generando l’ira delle opposizioni: stop alle multe per gli esercenti che rifiutano pagamenti elettronici sotto i 60 euro, tetto al contante a 5mila euro, proroga di quota 103 sulle pensioni, flat tax. Sul pos, dossier che rientra nella trattativa con l’Europa sul Pnrr, il governo è costretto al passo indietro, pur ricorrendo a un plan B per risarcire gli esercenti delusi.

L’inizio del nuovo anno si apre con un casus belli: la corsa dei prezzi del carburante cavalcata da Fi, con il premier sotto attacco per vecchi proclami sul taglio delle accise, e su una promessa, contenuta nel programma elettorale di Fdi, che punta alla ‘sforbiciata’. Ne nasce un decreto trasparenza che finisce per mandare su tutte le furie i benzinai, che, dopo aver tentato la strada del dialogo con il governo, indicono due giornate di sciopero, poi scesa a uno.

A surriscaldare il clima di un gennaio di fuoco, anche la fuga in avanti del ministro della Giustizia Carlo Nordio sulle riforme da realizzare, con l’affondo sulle intercettazioni che genera uno tsunami di polemiche. Meloni blinda il Guardasigilli, difendendolo a spada tratta, ma cerca anche di svilire un clima, tendendo la mano alle toghe, confermando la stretta ma solo sulle “distorsioni” di un sistema a cui “occorre mettere mano”, dichiara da Algeri, dove è volata per stringere nuovi accordi, mantenendo ferma la rotta di un azzeramento, entro l’inverno ’24-’25, delle forniture di gas da Mosca.

Il viaggio in Libia, con lo stesso obiettivo, presto quello a Kiev per stringere la mano a Zelensky, confermare il sostegno senza indugi dell’Italia. Settimana prossima a Stoccolma e Berlino, in vista di un Consiglio europeo decisivo per il dossier migranti, sui cui il premier non può permettersi passi falsi. Anche perché sono molte le incognite all’orizzonte.

Per continuare ad incassare le rate del Pnrr – di cui l’Italia oggi non può fare a meno – bisognerà adempiere ad una serie di scadenze che marciano in direzione opposta alla Meloni conosciuta in campagna elettorale. Arriverà a destinazione la riforma del fisco, in cui non potranno trovare spazio altre tasse piatte o condoni di alcun genere. Per non parlare della riforma della concorrenza con il capitolo irrisolto delle norme sui taxi e delle ormai famigerate concessioni balneari, tornata d’attalità in questi giorni.

Sempre più complicato, per la presidente del Consiglio, restare fedele a quell’immagine di underdog che le ha permesso di rovesciare i pronostici, tagliare il traguardo in barba a chi la dava perdente ai nastri di partenza. Dopo 100 giorni, è evidente che questa è la sfida più grande che l’attende.

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