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“Ricetta” Draghi: una possibile applicazione

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Ossigeno alle imprese a costo sostenibile per l’Italia e per l’Europa. Vediamo come.

L’intervento di Mario Draghi ha agitato il dibattito di politici ed economisti. La discussione dei governi nazionali con le istituzioni europee si è accesa in queste ore e, come anche il nostro Presidente Mattarella ha detto nel suo ultimo messaggio alla nazione, ci auguriamo che questo dibattito si concluda positivamente e in tempi brevi.

Ipotizzando che le risorse vengano reperite in tempi brevi, non si è ancora adeguatamente sviluppato il dibattito sulle modalità operative del necessario (e non più rinviabile) intervento a sostegno delle imprese e dell’occupazione.

Proviamo qui a ragionare con le cifre alla mano. E’ ormai chiaro che l’intervento, per essere efficace ed esteso alla generalità delle aziende seppur in misura diversa, deve essere la facilitazione di erogazione di credito da parte delle banche per 600 miliardi alle imprese italiane sotto forma di garanzia.

Altre nazioni hanno già annunciato cifre simili destinate specificatamente al sostegno delle imprese: la Germania ha stanziato 500 miliardi e la Francia 300 miliardi di euro. Per non parlare degli Stati Uniti dove, oltre al sostegno illimitato garantito dalla FED (Federal Reserve System), il presidente Trump ha varato un piano di 2.000 miliardi di dollari a sostegno di privati e imprese.

Il sostegno dello Stato italiano diretto e/o attraverso fondi europei metterebbe a disposizione del sistema bancario garanzie per consentire la concessione, da parte degli stessi, di mutui a medio lungo termine (20/30 anni) a tutte le imprese italiane senza discriminazione alcuna, pari ad un terzo del fatturato conseguito nel corso dell’esercizio 2018.

In questo caso, come potrebbero i nostri conti pubblici restare in equilibrio?

Ipotizzando che i finanziamenti concessi alle imprese abbiano una durata di lungo termine, ad esempio 20 anni in media, vorrebbe dire che l’entità di tale garanzia si ridurrebbe del 5% mediamente ogni anno. Quindi l’impegno dello Stato si ridurrebbe progressivamente negli anni. Non sarà necessario aspettare la fine del ventesimo anno per aver interamente riassorbito l’intero impatto sul debito pubblico perché se ad un certo punto il PIL ritornasse a crescere, la velocità di riassorbimento sarebbe molto più rapida. Con una crescita economica del 2% l’anno, il maggior indebitamento in rapporto al PIL si ridurrebbe addirittura ad una velocità doppia. In definitiva, l’impatto di questo extra debito sul rapporto debito pubblico/PIL potrebbe interamente riassorbirsi in un arco temporale compreso tra i 10 e i 20 anni a seconda della velocità di ripresa del nostro sistema economico.

Qualcuno potrebbe eccepire che questo ragionamento non tiene in considerazione l’eventuale incapacità di alcune imprese di rimborsare in futuro il finanziamento ricevuto, con il conseguente onere che resterebbe a carico dello Stato. Ma anche questo rischio potrebbe essere gestito.

Guardando i dati ABI sulle sofferenze bancarie, a dicembre 2019 il rapporto medio tra sofferenze e impieghi totali è pari all’1,61%, che nei periodi di maggior crisi ha raggiunto il 4,89% degli affidamenti.

Dall’ultimo rapporto Cerved, emerge che il numero delle imprese che è entrato mediamente in sofferenza negli ultimi venti anni ha toccato picchi del 3,2% nel 2014 e si è assestato all’1,7% nell’ultimo anno. Tuttavia, considerato che il finanziamento in questione avrebbe una durata di lungo termine (almeno 20 anni) è lecito attendersi tassi di inadempienze molto più contenuti per la quota limitata di rimborso richiesta ogni anno.

In una nostra simulazione abbiamo ipotizzato, prudenzialmente, tassi annui di sofferenze inizialmente del 3% per poi assestarsi progressivamente all’1% medio successivamente al quinto anno. Questo porterebbe alla fine l’incidenza totale dei mancati rimborsi a poco più dell’11% sul capitale erogato (abbiamo stimato, per prudenza, più del doppio rispetto al picco registrato nel 2015). Questo onere potrebbe essere tranquillamente coperto per intero da un costo per la messa a disposizione della garanzia pubblica che abbiamo stimato essere pari allo 0,7% annuo e che potrebbe essere a carico di tutte le aziende beneficiarie della garanzia. Questo costo dovrebbe sommarsi agli interessi da riconoscere agli istituti di credito, avendo l’accortezza di fare in modo che il costo complessivo per le aziende resti calmierato e comunque inferiore al 2% annuo e intorno all’1,7%.

Alla fine, parliamo di un intervento che a scadenza potrebbe essere interamente riassorbito senza aggravio di costo per le finanze pubbliche e che otterrebbe il risultato di mantenere in vita il nostro sistema produttivo, consentendo alle aziende di pagare tasse, contributi e mantenere occupati più di 11 milioni di lavoratori.

Al contrario, non fare questo tipo di intervento avrebbe un costo insostenibile: pensiamo solo che la cassa integrazione e gli altri sussidi previsti nel DPCM “Cura Italia” hanno un costo stimato di 13 miliardi al mese! Questo è un lusso che non ci possiamo permettere! Una cifra enorme in confronto a quella che sarebbe invece sufficiente a dare ossigeno alle imprese, ad evitare la perdita di milioni di posti di lavoro e a consentire alle stesse di ottemperare agli obblighi contributivi.

Cosimo Santoro e Natale Accetta

 

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