Acqua e guerre/4 Le lacune del diritto internazionale

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Le guerre dell’acqua costano tanto, in termini di risorse ma soprattutto di vite. Una gestione più attenta delle risorse ed un miglioramento del diritto internazionale, ad oggi lacuoso, sarebbero passi importanti verso la pace

L’acqua è un bene prezioso, e questo spesso causa conflitti.  Al giorno d’oggi avere interessi condivisi su un corso d’acqua e razionalizzarli sono due necessità che confliggono. Istituzionalizzare la gestione delle risorse idriche crea una certa resistenza.

Le guerre dell’acqua costano: una settimana di lotta in una guerra che ha come scopo il predominio sull’acqua costa tanto quanto costruire cinque impianti di dissalazione con cui non si avrebbero perdite di vite, nessuna pressione internazionale e un approvvigionamento della risorsa affidabile che non avrebbe bisogno di essere difesa perchè in territorio ostile. Lo sostiene nel suo lavoro, “Conflitto e Cooperazione lungo i corsi d’acqua internazionali”, Aaron T. Wolf, direttore del dipartimento di Geoscienze all’Università dello dell’Oregon, negli Stati Uniti. Nel testo si leggono gli esempi di numerose lacune del diritto internazionale in materia di acqua

Tra i 3600 trattati firmati che parlano dell’acqua, solo sette si riferiscono a scontri avvenuti in acque internazionali e per quanto riguarda la parte dei trattati che regola la gestione degli interessi sui bacini idrografici internazionali, più della metà non presenta alcuna disposizione di monitoraggio di sorta, i 2/3 non è in linea con le specifiche disposizioni e i 4/5 non ha neanche un meccanismo di applicazione.

Al fine di colmare queste lacune lo studioso suggerisce due lezioni per i politici che si occupano di guerre dell’acqua. Il primo suggerimento favorisce il miglioramento delle dispute, in quanto l’acqua è più importante e meno costosa rispetto ad una guerra e alla sua risoluzione. Quasi sempre, infatti, l’attenzione internazionale e il finanziamento risultante si concentra su un bacino solo dopo una crisi. Così è stato per il fiume Indo, il Giordano, il Nilo, il Tigri e l’Eufrate, dove il conflitto e stato imminente e con un grande spreco di energie in fatto di risanamento. Il secondo suggerimento chiarisce le qualità interdisciplinari proprie dell’acqua come risorsa e espone come le dispute, in corso, possono solo essere risolte attraverso un ampio e attivo dialogo tra le discipline investite.

(Chiara Palmieri)

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