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I borghi più belli d’Italia: Trentino Alto Adige

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Una regione dai contorni e paesaggi straordinari

Due anime differenti si incontrano in un’unica regione dai contorni e dai paesaggi straordinari, dai gusti e dalle tradizioni particolari. Il Trentino Alto Adige, da sempre, si presenta, ma questa volta mostra nel dettaglio alcune particolarità nascoste nei suoi borghi.

La zona nord della regione, quella del Südtirol, ospita una serie di piccole località in cui la parte tirolese si fonde con quella italiana.

Quasi al confine con l’Austria un esempio è rappresentato da Vipiteno

 

Un ambiente ospitale come pochi, con i suoi Erker fioriti, spazi per proiettare all’esterno di un edificio alcune finestre, i merli, le insegne e la pittoresca via principale, Vipiteno incanta per l’atmosfera di commiato e di ricordi. Il nucleo abitato si è sviluppato lungo la strada del Brennero, la via di comunicazione più importante tra Italia e Germania.

Nonostante la crescita di nuovi quartieri, l’impianto urbanistico è rimasto pressoché inalterato dalla fine del XIII secolo. La cittadina è divisa dalla Torre Civica, detta anche “delle dodici”, in due nuclei, Città Vecchia e Città Nuova, allineati lungo la Reichstrasse, la via principale, con negozi e alberghi al posto delle antiche botteghe artigiane e delle locande.

Contemporaneo alla costruzione della torre è il Palazzo Comunale, rifinito in seguito con l’erker poligonale d’angolo coronato di merli. Al suo interno sono notevoli le inferriate, i rivestimenti in legno e la stube gotica con la singolare lumiera a forma di donna.

La chiesa gotica di Santo Spirito era un tempo un corpo unico con l’antico Ospedale e la sua navata principale ha splendidi affreschi quattrocenteschi di Giovanni da Brunico, mentre la chiesa parrocchiale di Santa Maria della Palude è la più ampia del Tirolo: su coro e sagrestia gotici è stato addossato, nel 1496, un vasto corpo a tre navate ultimato nel 1524.

All’interno sono conservate cinque statue del prezioso altare a portelle di Hans Multscher, lo scultore ligneo più famoso in quel tempo in Germania.  L’altare, che il maestro realizzò nel suo laboratorio di Ulm, rappresenta uno dei capolavori del realismo tardogotico tedesco.

Le tavole dell’altare si trovano, invece, presso la Deutschaus, il palazzo dell’antico ordine monastico, militare e ospedaliero dei cavalieri teutonici che risale al XIII secolo e ospita oggi il  museo Multscher, la scuola di musica e  la chiesa tardo barocca di Santa Elisabetta.

Nei dintorni di Vipiteno, su uno spuntone di roccia, sorge l’imponente Castel Tasso (Schloss Reifenstein), uno dei castelli meglio conservati dell’Alto Adige, con le mura ancora intatte, posto dal XII secolo a sorvegliare la Val d’Isarco, in una zona un tempo paludosa.

Ma Vipiteno è celebre anche per due prodotti tipici. I canederli (Knödel), a cui è dedicata una sagra la seconda domenica di settembre con degustazioni e corsi di cucina sul tipico piatto tirolese. E poi lo yogurt, che viene celebrato con delle giornate che vanno da inizio luglio a fine agosto, in cui vari ristoranti di Vipiteno e dintorni preparano piatti tradizionali e di nuova creazione a base dello squisito yogurt prodotto dalla Latteria Vipiteno.

Glorenza non è mai cresciuta oltre gli stretti confini tracciati dalle sue mura cinquecentesche.

 

I segni del tempo sono ovunque, ed è bello leggerli nei particolari. L’atmosfera che si respira nei vicoli e sotto i portici di questa città in miniatura è a dir poco incantevole.

Con i suoi 885 abitanti, di cui 400 vivono nel borgo, Glorenza è una delle più piccole città d’Europa. Le mura, unica fortificazione cittadina intatta in tutto l’Alto Adige, racchiudono un assetto urbano di cui è ben visibile l’origine medievale, anche se a predominare sono le forme architettoniche del XVI secolo.

La Porta di Tubre, eretta probabilmente per uso abitativo, dopo la costruzione delle nuove mura fu utilizzata come porta d’accesso.  L’ex Tribunale fu fatto costruire intorno al 1510 dal titolare della giurisdizione Jörg von Liechtenstein  nel giardino a ovest della Torre Flurin.

Casa Frölich, splendida con il suo Erker  e gli interni affrescati, è una signorile casa d’angolo che prese l’aspetto attuale nel 1570, dopo una lunga appartenenza ai conti di Matsch. Il dipinto della facciata posteriore è un’allegoria rinascimentale dei sette peccati capitali, di cui si sono conservati solo la superbia e l’avarizia.

Da vedere anche il maso chiamato Im Winkel (“nell’angolo”) con il suo bastione circolare di mura. Appena fuori, oltre l’Adige, la chiesa parrocchiale di San Pancrazio si presenta nelle forme tardogotiche del XV secolo, ma la sua origine è romanica, come testimonia il campanile, cui è stata aggiunta nel 1664 la cupola barocca a cipolla.

Glorenza si trova vicino al confine svizzero e a quello austriaco, dunque è la base di partenza ideale per fare delle gite in questi due paesi, nonché, naturalmente, per scoprire le bellezze della Val Venosta.

A pochi km da Glorenza si trova, inoltre, il lago di Resia, dal quale spunta il campanile di Curon Venosta. Il magnifico mondo alpino circostante regala, infine, i paesaggi meravigliosi del Parco Nazionale dello Stelvio, le magie della montagna, i prati, i pascoli, i sentieri, i rifugi alpini e le malghe dove si possono assaggiare i prodotti locali.

Prodotti che si inseriscono nel menù squisitamente tirolese di Glorenza, iniziando con un profumato antipasto di speck, formaggi, pane di segale e grano saraceno, seguito da una gustosa minestra contadina oppure dai tipici canederli.

I secondi sono a base di carne di maiale o d’agnello con contorno di patate dolcissime, mentre  completano il pranzo le torte casalinghe ai frutti di bosco, i krapfen ripieni di marmellata e lo strudel.

Si raggiunge Chiusa che deve il suo nome allo stretto passaggio naturale che si forma tra la rupe di Sabiona, il fiume Isarco e il torrente Tinne.

Il centro storico di Chiusa mantiene immutata la sua particolare struttura medievale e l’atmosfera che ne deriva con le sue facciate con mura merlate, gli inconfondibili Erker e le insegne di osterie in ferro battuto.

La lunga via che attraversa la città è la prima attrattiva di Chiusa. Percorrendo il nucleo antico da Città Alta verso Città Bassa, i primi edifici storici che si incontrano sono la Casa Wegmacher e la chiesa degli Apostoli, in stile gotico a navata singola, costruita, nella seconda metà del Quattrocento, dal mastro-architetto Jörg.

Risalgono al tardo Medioevo il municipio, il complesso del vecchio Albergo Leone d’Oro  e la Casa della Dogana Vescovile, sulla cui bella facciata figurano dieci dipinti araldici di vescovi di Bressanone.

Città Alta termina in Piazza Parrocchia su cui si affaccia la chiesa di Sant’Andrea, costruzione tardogotica che sorge sui resti del precedente edificio romanico, considerata una delle più belle chiese del gotico sudtirolese.

Dalla piazza ci si incammina verso la Città Bassa, dove si ammirano le belle insegne che contrassegnavano gli alberghi. Da vedere l’ex Albergo Orso Grigio, il posto di ristoro più antico della città e il Caffè Nussbaumer (ex Albergo Croce Bianca), al cui interno era allestita, all’epoca, una colonia di artisti  con una singolare galleria di opere d’arte

Città Bassa finisce in Piazza Tinne, incorniciata pittorescamente dai vecchi alberghi, alcuni dei quali ancora in attività. Superato il torrente Tinne, nel grande parco pubblico si trova l’ex convento dei Cappuccini, ora sede del Museo Civico e della Biblioteca Civica.

Il Museo  espone opere di alcuni tra i più noti esponenti della Colonia Artistica di Chiusa, attiva qui tra il 1874 e il 1914, mentre  ha un valore inestimabile la collezione d’arte chiamata il Tesoro di Loreto, costituita dai doni che il chiusano Padre Gabriel Pontifeser, confessore della regina di Spagna Maria Anna, aveva ricevuto dai reali di Spagna e da personalità che frequentavano la corte, tra cui  arredi sacri, tessuti, gioielli,  porcellane Ming e dipinti di scuole europee di Cinque e Seicento.

La visita al museo può essere integrata con quella alla Chiesa dei Cappuccini raggiungibile attraverso il chiostro. Eretta tra il 1699 e il 1701, la chiesa presenta due splendide pale d’altare del pittore lombardo Paolo Pagani. Encomiabile, infine, l’attività della Galleria Civica rivolta all’arte contemporanea, in particolare alle tendenze più avanzate delle arti visive.

La visita prosegue seguendo un antico percorso con le stazioni della via Crucis verso il convento di Sabiona che, con la sua mole, occupa la parte superiore dello sperone di roccia sovrastante il borgo. Il monastero, ultimato nel 1686, sorge con la chiesa del convento e la chiesa di Santa Croce sulle rovine di un precedente complesso distrutto da un incendio nel 1533.

Il borgo di Chiusa, negli ultimi due sabati di settembre e nel primo sabato di ottobre, ospita un mercatino di artigianato e una sfilata che termina con l’incoronazione della regina del Törggelen. Una festa per le vie e per le cantine del centro storico con questa usanza il cui nome deriva dal latino torculum, “torchio“, e consiste in una passeggiata tra i colori dell’autunno, seguita da una sosta presso un maso, in cui vengono servite specialità tirolesi accompagnate da un’allegra musica dal vivo.

Il comune di Castelrotto è costituito da un nucleo principale e da undici frazioni, ognuna con una chiesa e un nome proprio, tre delle quali di lingua ladina.

 

La località più bassa è San Vigilio a 720 metri s.l.m., mentre la più alta è Compatsch a 1825 metri e all’ingresso dell’Alpe di Siusi.

Quest’ultima è  una delle montagne più belle delle Dolomiti. Prati, campi e boschi si dividono in egual misura i 56 chilometri quadrati dell’area, che fanno dell’Alpe il più vasto altipiano d’Europa.

Il linguaggio presente a Kastelruth,  questo il nome tedesco, è quello del “pittoresco”,  nel senso che molte facciate sono state decorate da un pittore, Eduard Burgauner , il cui intento era quello di trasformare Castelrotto in un’opera d’arte.

Ancora oggi l’immagine del borgo è quella di un interessante connubio di stile Liberty e tradizioni locali di gusto barocco, come si può vedere al margine del paese, dove gli affreschi di Villa Felseck, la casa della famiglia Burgauner, illustrano i mesi in modo ciclico, seguendo i riti e i lavori dei contadini.

Una volta entrati a Castelrotto si viene accolti dalla bella Piazza Krausen, che ha formato il proprio carattere nei secoli. Nel 1607 è stato costruito l’odierno municipio, mentre l’alta torre campanaria è stata realizzata dopo l’incendio del 1753 che ha danneggiato la vecchia chiesa gotica, sostituita con l’attuale edificio neoclassico di metà Ottocento.

In Piazza Krausen, inoltre, ha sede il Museo del Costume, in cui sono esposti i tradizionali costumi tirolesi. Quello maschile comprende camicia, gilet, giacca in loden dai colori scuri e cappello ornato da un garofano, mentre le donne indossano una gonna nera e lunga e un bustino nero di velluto con sopra un grembiule blu o nero, e un foulard di seta con lunghe frange.

Dalla piazza principale, con una breve salita, si arriva al Colle, una collina tra i boschi dove sorgeva il castello che poi è stato distrutto, da cui deriva appunto il nome del borgo di Castel-rotto, e del quale restano le rovine. Qui si trovano le sette cappelle del Calvario erette alla fine del Seicento dalla famiglia Krausen

Una rete di sentieri lunga circa 350 chilometri attraversa questo paesaggio alpino dove, tra malghe e rifugi, da sempre i contadini di Fiè allo Sciliar e di Castelrotto portano a pascolare mucche e pecore. Nei primi giorni di ottobre, inoltre, un corteo di pastori e di 250 vacche decorate da copricapi fioriti annuncia l’arrivo dell’autunno nell’Alpe di Siusi.

Egna è un delizioso centro storico di origine medievale, circondato dai vigneti e dagli alberi di mele della collina di Castelfeder, stretto tra le rive dell’Adige e i boschi del Monte Corno.

Edifici in stile veneziano, molti dei quali costruiti tra XV e XVII secolo, esibiscono i loro eleganti portici a ricordo della grandezza passata, quando nella strada-mercato, nei cortiletti interni e nelle residenze nobiliari si facevano affari grazie agli scambi commerciali.

Sono i portici a rendere pittoresca l’antica città-mercato di Egna. Le abitazioni, allineate lungo la strada che fungeva, appunto, da mercato, sono dotate di portici con arcate con volte a tutto sesto e ad arco acuto che  si susseguono, rivelando i mutamenti architettonici nel tempo. Ai portici è dedicata anche la Laubenfest ad inizio agosto. Una festa nata nel 1974 e una delle manifestazioni più conosciute in Alto Adige e attira ogni anno migliaia di visitatori.

L’antica strada – mercato è caratterizzata dalle cosiddette case a sala (Saalhäuser), la cui facciata principale è porticata e rivolta verso la strada, mentre il cortile  retrostante è caratterizzato da costruzioni adibite al lavoro agricolo e commerciale e ai magazzini.

Al protettore dei naviganti, San Nicolò, è dedicata la chiesa parrocchiale di origine romanica, con campanile del XII secolo e a tre navate, in una delle quali vi sono affreschi dell’epoca raffiguranti i simboli dei quattro Evangelisti.

A sud del centro storico, affreschi e finestre ogivali sono solo ciò che rimane dell’ex chiesa di San Gallo, menzionata già nel 1202 con l’ospedale cui era annessa. Meritano una visita anche la chiesa tardogotica di Nostra Signora in Villa, ammirata in Tirolo per la sua purezza di stile e le pregevoli opere pittoriche e scultoree e, fuori del borgo, la chiesetta di San Floriano risalente al XII secolo mostra elementi architettonici e decorativi di raffinata esecuzione.

Dalle uve della frazione di Mazzon, si ottiene un eccezionale Blauburgunder (Pinot Nero), che viene celebrato a maggio nelle  Giornate altoatesine del Pinot Nero, con l’assegnazione del premio al miglior Pinot italiano.

Ad Egna, inoltre, avviene la fusione tra cucina sudtirolese, trentina e mediterranea. Il menu di questa zona, infatti, comprende canederli con speck, formaggio o fegato, Schlutzkrapfen (mezzelune con ricotta e spinaci), zuppa d’orzo e verdure con pancetta e Gröstl (patate arrosto con pezzetti di carne).

Tra i dolci, si ricorda naturalmente lo Strudel e poi gli Strauben (impasto di farina, latte e uova, servito poi con marmellata di mirtillo rosso), i Kaiserschmarren (omelette spezzata in grossi pezzi e arricchita con uvetta), i Topfenknödel (canederli dolci alla ricotta) e i Marillenknödel (gnocchi alle prugne o albicocche con spolverata di cannella).

Proseguendo verso sud, nel territorio di Trento, si scopre il borgo di Vigo di Fassa, frazione di Sèn Jan di Fassa  

Vigo sorge nella conca più ampia e soleggiata della Val di Fassa, intorno al massiccio del Sella e sotto le vette del Catinaccio e del Latemar.

Il piccolo borgo è un paradiso per gli sciatori: dal centro urbano tramite la funivia si raggiunge direttamente l’area sciistica del Ciampedie (“campo di Dio” in ladino). Gli amanti delle escursioni, dal Ciampedie possono addentrarsi nel gruppo del Catinaccio o semplicemente apprezzare la cucina dei rifugi seguendo i sentieri attrezzati o le strade forestali.

In questa zona cìè una parola che esprime tanta bellezza: enrosadira. Deriva dal ladino enrosadöra (“diventare di colore rosa”) e descrive il fenomeno per cui le cime delle Dolomiti, all’alba e al tramonto, assumono un colore rossastro che vira verso il viola.

Oltre che centro geografico della valle, fino all’Ottocento Vigo ne era il cuore amministrativo, ospitando il potere giudiziario, quello legislativo e quello religioso, grazie alla presenza della pieve di San Giovanni e della chiesa di Santa Giuliana, patrona della valle.

Nella frazione di San Giovanni svettano le ardite forme tardogotiche della pieve, consacrata nel 1489 e costruita su una più antica chiesa romanica, a sua volta sorta sulla primitiva cappella carolingia. Molto elegante il campanile, frutto di una sopraelevazione di quello romanico, con la slanciata guglia che raggiunge i 67 metri d’altezza. Adiacente alla canonica della pieve di San Giovanni, nell’antico fienile Tobià de la Pieif, ha sede il Museo Ladino di Fassa che ospita le collezioni etnografiche dell’Istitut Cultural Ladin.

Da queste parti ogni frazione ha una sua atmosfera e particolari motivi di interesse. Una costante è la presenza di fontane e di grandi fienili in legno (tobié),  di crocifissi ed edicole agli incroci delle strade e persino nei campi.

La prima frazione che si incontra venendo dal paese è Valle (Val). Il suo aspetto rurale si conserva grazie ai numerosi tobié, al crocifisso settecentesco e ai vari rustici. Anche Costa, che si raggiunge da Val per la Strada de Somcosta, ha la sua fontana, il suo crocifisso di legno e antiche abitazioni.

Proseguendo verso monte, attraverso i prati, si arriva a Larzonei, altro villaggio fassano dall’architettura tradizionale, dove è presente un edificio con due forni del pane.  Da una fontana coperta da tettoia, parte un sentiero che conduce a Tamion, il villaggio più alto in quota, posto su una terrazza panoramica dove si nota, tra le case e gli antichi fienili, la chiesetta della Trinità eretta nel 1708.  La sesta e ultima borgata, Vallonga si allunga intorno alla chiesetta settecentesca, e poi rinnovata, di San Giovanni Nepomuceno.

All’estremità orientale del Trentino, Mezzano è l’unico comune di valle a conservare ancora, tra le abitazioni, qualche stalla in funzione.

 

Sapori e odori di una ruralità altrove smarrita, rendono questo borgo un luogo capace di conciliare il passato e il presente, le forme architettoniche della tradizione e la loro rilettura contemporanea.

L’abitato è un susseguirsi compatto di tetti contorti e sporgenti, di balconi di legno di vicoli lastricati a “salesà”, di intonaci esaltati dal sole e dalle ombre. A un soffio da San Martino di Castrozza, Mezzano è una sorta di serbatoio di vita alpina, una miniera inesauribile di idee che si manifestano in ogni angolo nascosto, lungo i vicoli, nelle piazzette, all’ombra dei ballatoi.

Mezzano celebra la sua parte agreste con l’itinerario “Segni sparsi nel rurale”, dedicato ad acqua, orti, architettura, incisioni, affreschi: 20 pitture murali, oltre 100 iscrizioni, circa 400 orti, un particolare sistema di distribuzione idrica e le architetture del paese.

Il borgo mantiene integra una sua identità storica, nonostante siano stati inseriti elementi nuovi nel tessuto originale, avendo sempre un occhio di riguardo verso le caratteristiche del borgo. Proprio per questo motivo, i nuovi edifici attestano la presenza di una contemporaneità architettonica in continuità con lo spirito della tradizione.

Questo è il caso di Piazza Brolo, di Piazza Fontana e del Centro civico. Da qualche tempo, inoltre, è esplosa una discreta e incantevole nuova forma d’arte, unica nella sua semplicità. Il paese, infatti, si sta popolando di meravigliose e monumentali cataste di legna artistiche.

Lungo i vicoli, sui ballatoi, nelle piazze e nei cortili, la tradizionale scorta di ceppi per l’inverno si fa bella grazie a “Cataste e Canzei”, singolare iniziativa che ogni anno richiama artisti affermati perché realizzino le loro grandi installazioni.

Ecco allora la fisarmonica in tensione che pare una stella, la clessidra chiusa tra sole e luna a segnare il trascorrere del tempo e ancora, gli uomini intenti a tagliare l’albero e la catasta instabile che cede a un coreografico crollo.

Nei mesi estivi, la presenza ormai consueta della Music Academy International di New York garantisce la rappresentazione di opere liriche, musical di Broadway, concerti per orchestra, in una serie di eventi che sono quasi quotidiani, mentre completano il quadro rassegne teatrali e concerti da camera anche durante gli altri mesi.

A Mezzano la ricca produzione casearia non fa mai mancare il formaggio nei piatti tipici, tra cui spicca il più celebre, la Tosèla”, un formaggio fresco fatto con latte appena munto da gustare a crudo o cotto nel burro, accompagnato dalla classica polenta e dalla salsiccia luganega.

Da provare anche el tonco con polenta e teghe a la poìna, una prelibatezza costituita da salsiccia a pezzetti in sugo di farina di frumento con fagiolini stufati alla ricotta affumicata. Smorum, casada  e torta alla ricotta sono le note dolci che chiudono il menù di Mezzano.

Nella contrada di Tenno ecco Canale un agglomerato rurale di origine medievale  sopravvissuto quasi intatto nella sua struttura fino ai giorni nostri.

Il borgo si fa apprezzare per la caratteristica architettura fatta di “volti” a botte, sottopassi, vicoletti e ballatoi affumicati dal tempo.

Qui la festa più importante si chiama “Rustico Medioevo” e rende bene l’idea del posto in cui ci si trova. Nella prima metà di agosto il borgo di Canale si anima per dieci giorni e recupera la sua dimensione più autentica, coinvolgendo turisti e residenti all’insegna della buona tavola, della cultura e del folclore.

Polenta e peverada è il piatto tipico della festa, a base di polenta di farina di granoturco e pane raffermo grattato e cotto con brodo di carne pepato, servita con cotechino e spolverata di formaggio grana. Un altro piatto tipico è la carne salada, carne di manzo di prima scelta condita con spezie, servita cruda o cotta, accompagnata dai fasoi

I principali prodotti che si possono trovare da queste parti sono l’olio extravergine del Lago di Garda, una produzione limitata, ma di qualità elevata e il vino, in particolare la Schiava Lorè da uve bianche Chardonnay e il Merlot delle microzone di Tenno.

Canale è anche un paese di fienili e poggioli incastonato nelle colline dell’Alto Garda, tornato a vivere nel segno della cultura, grazie alla Casa degli Artisti che dà ospitalità a creativi di tutta Europa.

Un centro internazionale d’arte nato negli anni ’60 dall’idea del pittore Giacomo Vittone. L’attività della Casa si articola in mostre d’arte, convegni e soggiorni per artisti, che in questo suggestivo ambiente possono trovare le condizioni e la quiete per lavorare nei laboratori opportunamente attrezzati.

Ma ciò che sorprende a Canale, oltre la vista meravigliosa del lago di Garda, sono gli scorci d’ambiente alpestre catturati dentro morbide atmosfere mediterranee. Molto belli da vedere, in tutto il territorio, sono i terrazzamenti agricoli, che conferiscono all’ambiente armonia e vivacità e il suo cuore blu, che è il piccolo lago di Tenno, uno dei più puliti d’Italia, che si è formato per effetto di una frana nell’XI secolo e nasconde sul fondale una foresta fossile.

Poco distante, un altro splendido borgo come San Lorenzo in Banale  

Disteso su una soleggiata terrazza verde affacciata sulla valle e sorvegliato alle spalle dalle Dolomiti di Brenta, San Lorenzo è un antico borgo contadino nato dalla fusione di sette Ville che hanno per la maggior parte conservato la tradizionale architettura alpina: Berghi, Pergnano, Senaso, Dolaso, Prato, Prusa e Glolo.

Il fascino di San Lorenzo risiede nelle atmosfere rurali, nei profumi di legna, di fieno, di fiori e di affumicato, nell’aria frizzante dei vecchi pascoli. Le abitazioni che hanno resistito alla modernità, mostrano tutto il calore e la sapienza costruttiva dell’architettura trentina. Sono separate da vie anguste, cortili e piazzette pavimentate in salesà, l’acciottolato locale, e percorribili solo a piedi attraverso porticati e anfratti..

Situato all’imbocco della splendida Val d’Ambièz, il borgo è la porta di accesso al Parco Naturale Adamello Brenta. Per gli amanti della montagna ci sono percorsi di varia difficoltà e sempre ben segnalati nel Parco Naturale dell’Adamello Brenta, alla scoperta di flora, fauna, malghe, antiche baite. I climbers trovano le pareti su cui cimentarsi e i bikers il nuovo Dolomiti di Brenta Bike, un percorso ad anello di 171 chilometri che attraversa il Parco.

La Val d’Ambièz è la meravigliosa bocca d’accesso al Parco Naturale Adamello Brenta e generosa di scorci ancora intatti e di testimonianze geologiche.  Una valle percorribile con bellissimi sentieri di varia difficoltà che conducono alla scoperta di uno spettacolare anfiteatro naturale, di verdi alpeggi, delle architetture semplici delle ca’ da mont, di antichi fossili e persino delle tracce dell’orso.

La visita alle sette Ville non può che cominciare a Prato, dalla Casa del Parco “C’era una volta” che, situata  nella bella Casa Oséi, raccoglie tutta la storia contadina di queste terre. Il vicino teatro comunale è un’antica chiesa sconsacrata e restaurata per volontà degli abitanti, dove la spiritualità dell’arte si confonde con quella della religione.

Le sta vicino Prusa, la Villa più in basso, in cui lo sguardo viene catturato da Casa Mazoleti, perfetto esempio di architettura rurale. A piano terra cantine e stalle, al primo piano cucina e stanze, al terzo e quarto piano le aie coperte e i depositi di fieno,

In senso antiorario, si arriva a Glolo, in posizione privilegiata come “ancella” del Castel Mani, il cui nome in dialetto (“Grol”) è ripetuto dai bambini quando invitano le lumache a buttar fuori i loro cornetti.

Poi ecco Berghi da dove passa la selciata via Caváda, segnata dai solchi paralleli lasciati dalle slitte. La chiesetta del Seicento è dedicata a Santa Apollonia e ,a fianco, la splendida dimora rurale Casa Martinoni. Le sue imponenti dimensioni hanno fatto supporre che un tempo fosse un convento, voce forse alimentata dal luogo in cui sorge, chiamato dos dei frà, colle dei frati.

Da Berghi si arriva a Pergnano, distesa al sole. Qui la chiesetta dedicata ai santi Rocco e Sebastiano contiene affreschi dei bergamaschi Baschenis di Averaria, godibili per luminosità e freschezza e caratterizzati  da un grande effetto cromatico.

Da Pergnano a Senaso, la frazione meglio conservata e per la quale è stato impostato un impegnativo progetto di riqualificazione. La Villa è carica di memorie di malgari e di casari, di cacciatori di mestiere e di esperti confezionatori delle ciuìghe.

La ciuìga fu inventata nella seconda metà dell’Ottocento, in un clima di grandi ristrettezze, mentre oggi, questo salume con le rape confezionato secondo tradizione solo a San Lorenzo, è presidio Slow Food. La ciuìga è una prelibatezza da gustare al naturale, rielaborata in gustosi sughi, abbinata a patate lesse e cicoria oppure adagiata su fette di pane leggermente tostato e imburrato.

Nei primi giorni di novembre la Sagra della Ciuìga celebra questo tipico insaccato il tipico tra i vicoli,  nelle cantine e sotto i vòlt della frazione di Prusa, tra musica, spettacoli di strada, degustazioni e gli abbinamenti gastronomici dei ristoranti.

Per Dolaso, il settimo borgo, si tira dritto sulla strada della Val d’Ambiéz. Dopo poche centinaia di metri, si arriva al capitello che un certo Marin Cornela fece costruire nel Settecento per devozione alla Madonna.

Si scende, infine, a Dolaso, un borgo per conto suo, con campagne un tempo coltivate e feconde e caratteristiche case, un tempo dai tetti di paglia, periodicamente devastate dal fuoco e sempre ricostruite per nascondere le fatiche degli uomini, in fila dietro la chiesa di Sant’Antonio Abate, con la piazzetta che è un belvedere sulle cime del monte Bondone.

Il borgo di Rango, frazione di Bleggio Superiore si trova in un territorio ricco di possibilità per gli amanti dei cammini, della bicicletta e del benessere a 360 gradi.

Qui,  infatti, è possibile percorrere sentieri tematici a piedi o in bici  tra cui i Sentieri dell’Arte, della Storia, della Natura, del Gusto, dei Piccoli Camminatori e conoscere le realtà contadine della valle attraverso visite guidate, ammirare stupendi paesaggi in luoghi particolarmente panoramici o ancora degustare i prodotti tipici locali declinati in sfiziosi piatti o menu nei ristoranti locali.

Tra i prodotti della zona emerge la Noce Varietà Bleggiana, una noce piccola, con il guscio facile da rompere, dal gusto speziato che si dice si coltivasse nel Bleggio già al tempo degli antichi romani. Un prodotto che caratterizza uno dei piatti principali come la pasta fresca ripiena di pere Williams e formaggio Trento condita con gorgonzola e noci del Bleggio.

A Rango appartengono frammenti di mondo contadino, evidenti già nell’edilizia rustica, con i suoi strani portici di montagna. Le antiche dimore del borgo, addossate le une alle altre e collegate da portici, androni e corti interne sembrano un abitato fortificato.

La Chiesa dedicata a Santa Lucia è un gioiello di stile barocco, con il suo piccolo cimitero, caratteristico dei paesi alpini. Il Museo della Scuola, invece, rappresenta un’esperienza inedita e originalissima dove sono conservati gli oggetti e il materiale didattico della prima metà del Novecento, utilizzati nelle scuole dei dintorni.

I Mercatini di Natale nei weekend di novembre e dicembre, ambientati nei vòlt che riparavano i viandanti e i pellegrini, sono unici nel loro genere. Qui le classiche bancarelle vengono sostituite da scorci caratteristici di architettura contadina che fanno da cornice a prodotti di artigianato artistico, specialità locali, e musica folkloristica.

Nelle vicinanze, meritano una visita il borgo di Balbido, detto “paese dipinto” per i murales sulle case che raccontano momenti di vita contadina, antiche leggende e vecchi mestieri, il Museo delle Palafitte di Fiavè, con i reperti archeologici trovati tra i resti di palafitte a partire dal Neolitico e il Castello di Stenico, sede staccata del Castello del Buonconsiglio di Trento con la sua collezione permanente di arredi e diverse mostre temporanee organizzate durante l’anno.

E a concludere il viaggio all’interno dei borghi del Trentino Alto Adige ci pensa Bondone un paese sospeso nel tempo, dove le tracce della modernità si insinuano lentamente.

 

A Bondone si vive la sensazione di ritornare nel passato, percorrendo le stradine piccole, caratterizzate da archi, ripide scalinate e anguste scorciatoie.

Ammirare le case addossate l’una all’altra in modo irregolare, quasi a tenersi compagnia, significa tornare indietro di qualche secolo, quando qui vivevano solo i carbonai e le loro famiglie per quattro mesi, e il resto dell’anno Bondone restava silente e abbandonato, in attesa del loro ritorno.

I bondonesi erano un popolo devoto, come raccontano gli affreschi, espressione di arte popolare, che si possono ammirare sui muri e le  facciate delle case che conducono fino alla Chiesa, dedicata alla Natività di Maria, sul quale sagrato si può godere di una splendida vista sulla vallata.

In seguito ad una serie di interventi, la chiesa presenta tre navate, ognuna delle quali custodisce un altare ed è testimone e porta la memoria della trasformazione del borgo e dei suoi abitanti nella storia.

Castel San Giovanni, invece,  fu edificato presumibilmente su una preesistente struttura romana e fu sempre in possesso dai conti di Lodron, famiglia le cui origini risalgono all’anno Mille. Il castello, al quale vi si accedeva attraverso un ponte levatoio e gode di una magnifica posizione che domina l’intera vallata, fu poi abbandonato due secoli fa.

Un evento caratteristico del borgo è Bondone in Strada, che si svolge nel secondo fine settimana di agosto e che porta artisti di strada internazionali in giro per i portici e le piazze del paese. Giochi di fuoco, fachiri, giocolieri e molti altri artisti avvolgono la magica atmosfera del paese in un’aura di mistero.

Durante l’evento è possibile anche degustare i piatti tipici della zona, come la farina gialla di Storo, con la quale si cucina la rinomata polenta, il salmerino alpino, il radicchio dell’orso  e i formaggi di malga.

Alessandro Campa

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