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I Borghi più Belli d’Italia: Sardegna

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sardegna

Isola dall’anima orgogliosa e tenace, ricca di piccoli borghi che raccontano affascinanti tradizioni

La meravigliosa Sardegna, isola dall’anima orgogliosa e tenace, presenta una serie di piccoli borghi tra loro differenti e che raccontano le vicissitudini di un luogo ricco di gusto, tradizioni e paesaggi incredibilmente affascinanti.

L’abbraccio del mare rappresenta il punto di partenza per scoprire alcune di queste località.

E proprio nel mare che si mostra Carloforte, l’unico centro abitato della piccola isola di San Pietro, nell’estrema parte occidentale d’Italia.

carloforte sardegna

Carloforte, isola nell’isola, è l’esempio di una comunità marinara aperta ai traffici e capace di sintetizzare le diverse culture del Mediterraneo, dai remoti fenici e cartaginesi ai naviganti greci, fino ai liguri tunisini, che vi hanno lasciato l’ultima e definitiva impronta.

La parte più recente dell’abitato è stata costruita in una stretta lingua sabbiosa, mentre il centro storico risale al primo periodo della colonizzazione, tra il 1738 e il 1780, costituito dai rioni di Castello, Calcinate e Cassebba e caratterizzato da stradine tortuose e gradinate.

Salendo dal mare verso il quartiere Castello ci si ritrova in un labirinto di vie, di strade strette, una diversa dall’altra. Le case, hanno il sapore del Mediterraneo con colori che rievocano la patria ligure o quella terra d’Africa rimasta come origine inconscia della popolazione.

Un insieme di sfumature e tonalità che conduce fino alle mura di cinta, o a ciò che rimane delle fortificazioni costruite a inizio Ottocento per proteggere il paese dalla violenza dei pirati. La cinta muraria chiude in un abbraccio protettivo il nucleo abitativo originario in cui, nel 1728, si insediarono le prime famiglie di tabarchini  e che qui costruirono una serie di edifici simbolici, tra cui il possente forte Carlo Emanuele, oggi adibito a Museo Civico Casa del Duca.

L’ ingresso principale del borgo è l’arco di via Solferino, racchiuso tra antiche case, balconi e ballatoi.

Pian piano ci si addentra nel rione Calcinate, la  parte più tipica del paese, il cui nome deriva dai forni da calce presenti qui in passato, in un saliscendi che riserva inaspettate sorprese.

Seguendo il profumo di salsedine si arriva sul lungomare, in prossimità del quale si trovano l’appariscente palazzo Rombi, settecentesca dimora del console francese, e il cinema-teatro Cavallera,  Sul lungomare i pescatori hanno i loro magazzini in cui continuano a rattoppare le reti e, quelli più anziani, a intrecciare le nasse.

Al di fuori del centro si presentano paesaggi marini di notevole bellezza con calette, insenature, scogliere e grotte sul mare. Da visitare la vicina isola di Sant’Antioco, collegata con il traghetto Carloforte-Calasetta, poco conosciuta, ma con un mare che non ha nulla da invidiare a quello della Costa Smeralda.

Carloforte, però, è anche luogo di prodotti tipici ed eventi.

Il tonno rosso pescato con la tonnara fissa di Carloforte, tra le più antiche del Mediterraneo, è il prodotto locale per eccellenza. Il tonno alla carlofortina, infatti, è il piatto principe di una cucina mediterranea che ha forti ascendenze liguri e arabe.

Decine di ricette gravitano intorno al tonno e, dalla Liguria, la cucina tabarchina ha mantenuto la presenza del pesto, delle focacce e della farinata. Tra i primi piatti si ricordano quindi  i cassulli cu pestu e i curzetti. Il Girotonno, poi, ad inizio giugno, è un evento speciale dedicato a questo gustosissimo pesce.

Quattro giorni di incontri culturali ed enogastronomici, musica e spettacolo, convegni e dibattiti, per esplorare il magico mondo delle tonnare, compreso l’antico, emozionante e crudele rito della mattanza.

Uomini, storie e sapori sulle rotte del tonno è una rassegna che, oltre a celebrare il tonno di qualità, si presenta come momento di confronto con le tradizioni culturali e culinarie degli altri Paesi in cui il tonno fa parte della tradizione gastronomica.

Da non perdere è anche la Sagra del Cous-cous, con la degustazione del tipico piatto maghrebino nella variante carlofortina, fatta di sole verdure, e preparato da casalinghe locali nei tre giorni della manifestazione, durante la quale si svolge anche una mostra mercato enogastronomica e dell’artigianato.

Ritornando sulla terraferma si raggiunge Sadali  l’unico paese in Sardegna ad avere come patrono San Valentino, festeggiato non il 14 febbraio, ma il 6 ottobre, nella stagione più prospera per i raccolti secondo le abitudini agropastorali locali.

La chiesa di San valentino è sicuramente il monumento più importante di Sadali.

La prima costruzione risale al V e VI secolo e gli ultimi lavori di restauro, svolti nel 1996, hanno portato alla luce una fornace romana utilizzata per la cottura di laterizi, completamente intatta nel suo interno.

Del secondo impianto, trecentesco, restano il grande portone ogivale e le arcate a sesto acuto dell’interno, mentre risale agli anni Sessanta l’ultimo rimaneggiamento, con l’aggiunta del campanile.

Il vecchio mulino ad acqua, alimentato dalla cascata di San Valentino, è l’unico recuperato tra gli otto mulini che erano presenti nel centro storico, tutti costruiti nella seconda metà del Seicento per volere di un nobile, il Reggente Locci, al fine di svolgere il duro lavoro sino ad allora toccato agli asini.

Con il rito di scuttulai su santu, “scuotere il santo”, i single si affidano a San Valentino per trovare l’amore, ma a Sadali l’evento principale, e che apre ufficialmente il Carnevale,  è Is Foghidonis,  un viaggio tra riti ancestrali.

I fuochi accesi in onore di Sant’Antonio e San Sebastiano riscaldano la notte di Sadali, accompagnati da performance itineranti di teatro, musica e danza. E rispettando le tradizioni della Barbagia, in questa occasione,  la maschera tipica degli Urtzos fa la sua prima apparizione.

Ogni prima domenica di agosto, invece, una sagra viene dedicata ad uno dei piatti tradizionali della Barbagia, come Is culurgionis, una specie di raviolo con cuore di patate, menta, aglio e pecorino fresco, dalla forma a mezzaluna dovuta alla chiusura dei bordi con le dita.

Si prosegue nel territorio di Nuoro con il borgo di Atzara, dove mente, mani e cuore riassumono lo spirito di questo villaggio sulle pendici occidentali del Gennargentu.

La mente considera ancora prezioso e intoccabile l’antico tessuto urbano di origine aragonese che caratterizza i rioni del centro storico, dove sono presenti piccole abitazioni in granito e trachite, materiali che esaltano la bellezza di finestre e balconi, come si nota passeggiando per i rioni Su Fruscu, Sa Montiga ‘e Josso, i più antichi.

L’uso dei conci in granito e trachite accomuna le architetture non solo delle abitazioni del centro, ma anche delle chiese e delle strutture megalitiche come il nuraghe Abbagadda che, con i resti di alcune domus de janas, sepolture preistoriche scavate nella roccia, completano il patrimonio archeologico del territorio.

Le mani sono quelle che intagliano il legno, tessono tappeti e arazzi su vecchi telai, lavorano le vigne del Mandrolisai e realizzano costumi come quelli che a inizio Novecento incantarono i pittori spagnoli della scuola «costumbrista» e che ancora indossano le anziane.

Il cuore è quello della gente di questo angolo di Barbagia, accogliente, orgogliosa delle tradizioni e del suo vino che consacra l’amicizia.

L’interesse acceso su Atzara è dato da un’aura artistica che si intreccia con la pittura e l’arte tessile vitivinicola. Più di un secolo fa, in questo paese dimenticato in fondo alla Barbagia, arrivarono pittori spagnoli che a Roma, in occasione del Giubileo del 1900, si erano imbattuti nei bellissimi costumi femminili e maschili della delegazione di Atzara.

Oggi, il museo Antonio Ortiz Echagüe, nato per diffondere la conoscenza della pittura in Sardegna e i movimenti artistici quali la “scuola di Atzara”, ospita un centinaio di opere collegate all’arrivo dei pittori costumbristi spagnoli nei primi anni del Novecento

Chicharro e Ortiz fecero scuola tra le vigne e le cantine, aprendo la strada a una sorta di accademia. Su queste colline sorse un cenacolo al quale presero parte alcuni importanti pittori isolani come Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Carmelo Floris, Mario Delitalia, mentre in seguito arrivarono Antonio de Castillo e Aurelio Galeppini, il celebre disegnatore di Tex.

Il museo è anche il punto di partenza per scoprire il centro storico, per un’immersione nei colori e nella luce delle campagne amate dagli artisti.

Attraversata la strada principale, si raggiunge una vasta piazza ad anfiteatro su cui si affaccia la chiesa di San Giorgio, documentata già nel 1205 e consacrata nel 1386, di forma rettangolare, con navata unica, facciata in pietra e campanile a vela.

Procedendo sulla via San Giorgio in breve si arriva in piazza Sant’Antioco, dove sorge l’edificio più importante di Atzara, la chiesa parrocchiale di Sant’Antioco in stile pisano-aragonese con interno gotico, impostato su eleganti archi a tre navate.

Magnifico il rosone aragonese finemente ornato, mentre la facciata, tutta in trachite, è di forme sarde, e l’interno custodisce due altari di legno opera di intagliatori locali, una statua lignea della Vergine, che risale al XVI secolo, e argenterie cinquecentesche.

Su vicoli e piazzette si affacciano i magasinos, cantine private dove, tra botti in castagno, soffitti con travi in rovere e pavimenti in terra battuta, gli abitanti accolgono le persone con una bottiglia di Mandrolisai o di Moscato.

Ad Atzara, recentemente, è stato istituito il sentiero naturalistico “Le Vie dei Vigneti” (Is Camminos de Is Bingias).

Le prime vigne si scorgono appena fuori del paese, insieme con i boschi di roverelle e sughere.  Il vino, invece, rappresenta ancora l’elemento principale dell’economia di Atzara e, a differenza delle altre aree della Barbagia, qui non si produce solo il Cannonau.

Le sue uve vengono unite con un sapiente dosaggio a quelle dei vitigni Monica e Bovale, quest’ultimo giunto in Sardegna con la dominazione aragonese, per dar vita al Mandrolisai, un vino Doc di colore rosso rubino, ricco di sfumature e dal gusto secco e ben strutturato. Tra gli altri prodotti di Atzara spiccano i pregiati tappeti e, sempre più rari, gli antichi costumi dai colori vivaci, indossati ormai solo dalle anziane, col particolare copricapo chiamato tiaggiòla.

Il vino è anche protagonista di una sagra, la seconda domenica di maggio, in cui si celebra il prodotto principe di Atzara, l’eccellente Mandrolisai, in concomitanza con i riti religiosi per Sant’Isidoro.

E poi le Cortes Apertas, la terza decade di novembre, dove nei cortili (cortes) del centro storico le dimostrazioni della lavorazione del ferro, del legno, del formaggio, del pane, dei dolci, rinviano all’antica civiltà rurale.

Le particolarità culinarie di Atzara si possono riassumere in sa tumballa, un primo di pasta al forno in cui si uniscono pipe rigate, formaggio, uova, pan grattato e su ghisau (sugo con cubetti di carne di maiale e zafferano).

Quanto ai secondi piatti, la scelta è tra s’ortau, composto da salsiccia di maiale con milza, cuore e polmoni, pomodoro secco e prezzemolo, e sa pudda prena, piatto unico composto da gallina, uova e pesto di fegato, pomodori secchi, lardo, prezzemolo e zafferano, mentre tra i dolci si ricordano is bucconettes a base di mandorla, e su gattou con mandorle e zucchero.

Il territorio di Nuoro ospita anche Posada un borgo che offre diverse attrattive per chiunque voglia immergersi nella natura più incontaminata e nella tradizione più profonda.

Il delta del Rio Posada, infatti, e tutta la sua rete di canali e stagni, offre meravigliosi paesaggi naturali, in cui è possibile svolgere numerosi sport tra cui trekking, mountain bike, kayak, pesca sportiva e amatoriale.

La rigogliosa piana che circonda il borgo è continuamente irrigata e arricchita dal Rio Posada, che garantisce una costante produzione di ortaggi e frutti di rara qualità e interamente esenti da agenti inquinanti.

La tradizione culinaria di Posada, unita alla particolare fertilità del suo territorio, esalta al meglio il gusto e il sapore dei piatti di un tempo, tra cui, quello che caratterizza meglio l’immagine del borgo è sicuramente s’Aranzada, un dolce di difficile preparazione che solo mani sapienti riescono a realizzare e che conserva inalterata da secoli la sua ricetta originale.

Una passeggiata attraverso gli stretti e colorati vicoli è d’obbligo tra scorci incantevoli in cui il verde della rigogliosa piana e il celeste del mare che si fonde con il cielo offrono in ogni angolo dell’antico borgo degli scenari mozzafiato.

La vasta pianura dominata dal borgo riporta ai tempi antichi attraverso i Nuraghi e le Tombe dei Giganti disseminati tra le campagne, mentre il Castello della Fava domina imponente su tutto il paesaggio, e, insieme alla Chiesa di Sant’Antonio, rimanda al Medioevo, epoca che vide una fiorente rinascita e ascesa economica e politica del borgo di Posada.

La scoperta dei borghi sardi continua nella parte nord dell’isola, dove si trova un’affascinante località come Bosa.

 

Un borgo fondato dai marinai e dai mercanti fenici, la cui intera vita si svolge sull’acqua. Bosa è un luogo dal fascino strano, incerto tra fiume e mare, dai colori indefinibili, dai sentimenti forti e ben radicati nella propria cultura.

L’acqua immobile del fiume Temo, infatti, attraversa Bosa, le barche ancorate, le vecchie concerie ottocentesche, i colli intorno e, dall’altra parte, la marina. Nel contrasto tra acqua dolce e salata, Bosa è riuscita a far convivere il pastore col pescatore, le reti a maglie larghe di quest’ultimo con le piccole reti del ricamo femminile cui ancora si dedicano le donne anziane sulla soglia di casa.

L’insediamento odierno ha origine dal castello dei Malaspina, fortezza militare costruita nel 1112, al cui interno si trova la chiesetta di Regnos Altos con interessanti affreschi  italo-provenzali del XIV secolo.

Il Castello domina il colle intorno al quale si è sviluppato il borgo medievale che corrisponde al quartiere Sa Costa, caratterizzato da un intreccio di vicoli che seguono le curve del colle, uniti da scalinate in trachite, in cui si mescolano abitazioni povere e edifici di pregio, in un amalgama urbano che è tra i più originali della Sardegna.

Gli abitanti sono persone pazienti, dedite ad un artigianato del ricamo e della filigrana in oro, che necessita di gesti antichi.

Questa comunità è cresciuta accumulando tesori, tra palazzi, chiese, opere d’arte e i profumi della Malvasia ricavata dai vigneti assolati, quasi nascosta nelle cantine nella parte bassa di Sa Costa, dove oggi si può degustare.

Nelle stradine di Sa Costa, durante il secondo fine settimana di settembre, si celebra la festa di Nostra Signora di Regnos Altos.  Alla vigilia di questa le viuzze vengono addobbate dagli uomini con frasche, canne e bandierine, mentre le donne, negli spiazzi e nei vicoli che conducono al castello, allestiscono dei piccoli altari (altarittos), ornati di fiori e preziosi ricami, sui quali poggia il simulacro della Vergine.

Il salotto buono del borgo è Sa Piatta, ossia il corso Vittorio Emanuele dove, vicino al Ponte Vecchio, si trova la cattedrale dell’Immacolata risalente al XV secolo, ma ricostruita ai primi dell’Ottocento, con decorazioni pittoriche di Emilio Scherer.

Da vedere anche la chiesa del Carmine con annesso convento, oggi sede del Comune, edificata nel 1779 in stile barocchetto piemontese. Nella penombra dell’interno risplendono i preziosi marmi policromi dell’altare maggiore, risalenti al 1791, e della cappella della Madonna di Mondovì.

Dirigendosi verso il mare, sulla sponda opposta del fiume, di fronte al borgo medievale di Sa Costa, si affaccia il quartiere conciario di Sas Conzas, il complesso architettonico della Bosa ottocentesca, splendido esempio di archeologia industriale.

Arrivati a Bosa Marina, restano da visitare la chiesa di Stella Maris, completata nel 1689, in cui sono fusi elementi gotico-catalani e forme rinascimentali, e la grande torre Aragonese dell’Isola Rossa, che sorveglia l’ampia spiaggia ed è un esempio di architettura militare del Cinquecento.

Poco distante da Bosa si presentano meravigliose spiagge come quelle di Cumpoltittu , Porto Alabe e Porto Foghe, mentre da Magomadas a Tresnuraghes la costa è impervia, ma molto affascinante, con scogli che si alternano a spiaggette.

A pochi chilometri da Bosa, lungo la strada per Alghero, si trova il sito archeologico S’Abba Druche, testimonianza di un insediamento abitativo che va dall’epoca nuragica all’età romana imperiale, mentre nei dintorni si trovano anche le Domus de Janas di Coroneddu e la necropoli ipogeica di Chirisconis.

Proseguendo nella parte nord della Sardegna, ed in particolare nel territorio di Sassari, ecco Castelsardo un borgo che ha cambiato nome ad ogni dominazione.

Fondato nel 1102 dalla famiglia ligure dei Doria col nome di Castel Genovese, fu chiamato Castell’Aragonese nel 1448 dagli Spagnoli che, dopo averlo conquistato, gli concessero il privilegio di diventare “città regia” e fu infine ribattezzato Castelsardo nel 1769 dai governanti sabaudi.

Gli insediamenti nel territorio di Castelsardo risalgono, però, a molto prima del medioevo, addirittura al neolitico, come testimoniano i numerosi nuraghi eretti nell’area circostante e le Domus de Janas.

Una di queste, la Roccia dell’Elefante, così chiamata per il particolare aspetto che nel tempo le hanno dato gli agenti atmosferici, risale all’età del Rame ed ha di fronte il nuraghe Paddaggiu, appartenente all’ultima fase dell’età nuragica e ancora ben conservato.

Un’altra testimonianza di questo periodo è il nuraghe Ispighia, situato nell’omonima località in posizione strategica sopra la vallata del fiume Frigianu.  Lo specchio di mare sul quale si affaccia Castelsardo è compreso nei parchi nazionali dell’Asinara e dell’Arcipelago della Maddalena.

Il territorio interno e il centro storico, invece, conservano l’impianto risalente alla sua fondazione avvenuta nel 1102, caratterizzato da innumerevoli scalini, un labirinto di stradine su cui si affacciano le tipiche abitazioni sviluppate in verticale, gli slarghi in pietra e le piazzette

Arroccato su un grande promontorio affacciato sul mare, Castelsardo con il suo quartiere della Cittadella, vale a dire il labirinto di stradine contorte dell’antico borgo, che offre una visione di gran fascino.

Il Castello, che oggi ospita il Museo dell’Intreccio Mediterraneo, è anche sede di convegni e di eventi culturali.

Il museo è dedicato alla particolare attività artigianale delle donne di Castelsardo, che si dedicano ad intrecciare cesti.

E proprio l’arte dell’Intreccio Mediterraneo richiama nel borgo circa 80 mila visitatori l’anno, una cifra notevole che pone questo museo al secondo posto in Sardegna per numero di presenze, preceduto solo dal Compendio garibaldino dell’Isola di Caprera.

Nelle giornate più limpide lo sguardo spazia dalla Corsica all’Asinara, oppure si posa proprio sulle donne che, sull’uscio di casa, con un’abilità tramandata nei secoli, si dedicano ad intrecciare cestini, chiacchierando nel loro musicale dialetto, che raccoglie le influenze linguistiche dei dominatori genovesi, aragonesi e corsi.  I pescatori più anziani, invece, costruiscono con il giunco le nasse, una sorta di cestini conici utilizzati per la pesca dell’aragosta.

E gli spaghetti con l’aragosta, con i ricci e, in generale, tutti i piatti a base di pesce descrivono la cucina di Castelsardo. Il periodo migliore per gustare i ricci è quello invernale, da gennaio a marzo, mentre per le aragoste è preferibile attendere l’estate, poiché nel periodo più freddo occorre rispettare il fermo biologico.

Un insieme di culture che ha prodotto, alla fine, un’armoniosa sintesi che costituisce la vera peculiarità di questo borgo.

Non solo nella lingua, ma anche nella gastronomia, nel folclore e nell’originale artigianato artistico si ritrova il frutto di questi incroci culturali mediterranei.

Tra i monumenti più importanti di Castelsardo spicca la cattedrale di Sant’Antonio Abate, patrono della città, visibile dal mare anche da diverse miglia, grazie al suo campanile in maioliche colorate. La chiesa¸ sorta nel 1503, conserva uno dei più preziosi retabli della Sardegna, realizzato dal “Maestro di Castelsardo”.

L’opera, anteriore al 1492, è composta di quattro elementi di polittico dipinti combinando tempera e olio su tavola con fondo d’oro, rivelando l’abilità dell’artista di padroneggiare il linguaggio figurativo fiammingo, che dà moltissima importanza alla luce.  All’interno della chiesa si ammirano anche arredi di pregio, quali gli altari settecenteschi scolpiti nel legno di ginepro.

Poco oltre, si trova la chiesa di Santa Maria, sede della Confraternita di Santa Croce, dalla quale prendono avvio le antichissime sacre rappresentazioni della Settimana Santa.   La chiesa custodisce alcuni notevoli tesori, come la Pieddai, una statua di legno policromo raffigurante la Madonna, e soprattutto il crocefisso ligneo del “Cristo Nero”, il più antico della Sardegna, realizzato dai benedettini nel Trecento.

Alessandro Campa

 

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