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Più tutele ai malati di cancro per conservare posto di lavoro: 5 disegni di legge

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Milano, 6 nov. (Adnkronos Salute) – In campo per chiedere più diritti e parità di trattamento per chi è al tempo stesso lavoratore, pubblico o privato, e paziente oncologico. Una doppia condizione che accomuna sempre più persone, se si considera che in Italia 3,6 milioni di persone convivono con un tumore e la mortalità dal 1995 si è ridotta del 23%. C’è un esercito di ‘survivor’, molti dei quali lottano per il proprio posto di lavoro e dignità professionale. Puntano a colmare i gap che ancora resistono 5 disegni di legge, presentati alla Camera da altrettanti gruppi, i quali fanno parte dell’Intergruppo parlamentare ‘Insieme per un impegno contro il cancro’. Questi provvedimenti, in attesa di essere discussi e approvati, convergono su obiettivi comuni: l’ampliamento del ‘periodo di comporto’ (la conservazione del posto per chi affronta una malattia) e dei permessi per visite mediche, esami strumentali e controlli durante il follow-up.

I disegni di legge nascono da incontri e dibattiti in seno all’Intergruppo. I componenti di questo organismo trasversale hanno a loro volta interloquito con le associazioni pazienti nell’ambito del progetto ‘La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere’, iniziativa di advocacy coordinata da Salute Donna Onlus, e sostenuto da 33 associazioni pazienti attive sul fronte dell’universo cancro. Sono tanti gli ostacoli con cui i pazienti-lavoratori si misurano durante il percorso di cura. I più fortunati hanno potuto fare ricorso all’aspettativa non retribuita, molti hanno dovuto affrontare una battaglia per non essere licenziati, altri sono stati licenziati subito dopo aver raggiunto il 180esimo giorno di assenza dal lavoro. E poco importa se questa assenza è stata determinata da una patologia gravissima come un tumore.

“Occuparsi delle tutele e dei diritti dei lavoratori/pazienti oncologici è un’esigenza imprescindibile, soprattutto in questo difficile periodo in cui il lavoro è a rischio per tutti, specie per le persone più vulnerabili”, avverte Annamaria Mancuso, coordinatrice del gruppo che si occupa del progetto e presidente di Salute Donna Onlus. “E’ veramente incredibile come, in questa epoca di progressi scientifici e tecnologici i diritti del lavoratore, soprattutto quello più fragile perché malato, abbiano fatto passi indietro e le tutele siano gravate da una condizione giuslavoristica che è a dir poco arretrata. E’ una situazione molto grave specie se consideriamo il numero elevatissimo di malati cronici che continuano a lavorare e sarebbe un vero disastro sociale ed economico se perdessero” l’impiego.

Per Mancuso, “i contratti collettivi nazionali andrebbero rivisti alla luce del tipo di patologia e del grado di severità. Deve essere il legislatore a mettere mano all’inadeguatezza della contrattazione collettiva per i malati di tumore, ma dovrebbe farlo non usando la scure, ma affidando ai medici il compito di orientare la materia rispetto alle esigenze di questi pazienti. Penso che bisognerebbe dare ai malati oncologici e oncoematologici la tranquillità di potersi curare e la dignità di persone/lavoratori/pazienti”.

La normativa che riguarda il cosiddetto ‘periodo di comporto’ risale al 1924 e dispone che, in caso di malattia o infortunio, il lavoratore pubblico conservi il proprio posto di lavoro per un periodo di 18 mesi retribuiti nel triennio e di altri 18 mesi non retribuiti, mentre il lavoratore privato ha diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro per un periodo di 3 mesi con un’anzianità di servizio non superiore a 10 anni e di 6 mesi se ha un’anzianità di servizio superiore ai 10 anni. Su questo fronte “va certamente accresciuto – spiega Stefano Bellomo, professore ordinario di Diritto del lavoro della Sapienza Università di Roma e avvocato giuslavorista – il grado di adattamento della disciplina delle assenze e dei permessi in relazione alle esigenze terapeutiche, perché il comporto riguarda a stretto rigore la specifica condizione di malattia e non i trattamenti, le visite e gli accertamenti ai quali il lavoratore oncologico, anche nei periodi in cui risulta astrattamente idoneo all’attività lavorativa, deve essere sottoposto. Non vi è dubbio che emerga una rilevante esigenza di adattamento della normativa esistente”.

La legge prevede che al 180esimo giorno di assenza dal lavoro il lavoratore dipendente di un’azienda privata perde il diritto all’indennità erogata dall’Inps, anche se non segue automaticamente il licenziamento che resta tuttavia facoltà del datore di lavoro. Inoltre, per i permessi sono fissate 18 ore annuali di assenza retribuita per l’effettuazione di visite, esami strumentali e controlli sanitari nel periodo di osservazione (follow up) dopo la fase acuta della malattia oncologica; monte ore che però risulta il più delle volte inadeguato alle esigenze dei pazienti e che dovrebbe essere rivisto, dicono gli esperti.

L’ordinamento giuridico italiano non prevede una specifica regolamentazione per i malati oncologici e rinvia alla contrattazione collettiva. Sussistono quindi regole disomogenee e profondamente diverse che determinano una disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati, fanno notare gli addetti ai lavori. Le proposte di legge depositate alla Camera, seppur con diverse modalità, sono dunque orientate a un rafforzamento dei diritti dei lavoratori affetti da malattia oncologica.

Riconoscere un congruo periodo di comporto ed equità di trattamento tra lavoratori pubblici e privati; prevedere che i lavoratori dipendenti conservino il posto di lavoro per un periodo retribuito non inferiore a 24 mesi nel triennio; escludere dal periodo di comporto i giorni di ricovero ospedaliero o in day hospital per cure e trattamenti; aumentare le ore per i permessi in base alle necessità dei pazienti. Sono queste alcune delle richieste contenute nei testi dei disegni di legge.

“E’ necessario sottoscrivere un nuovo patto sociale, più equo e solidale, che rafforzi ulteriormente il diritto al lavoro e alla retribuzione dei malati gravi, in particolare quelli oncologici”, osserva Enrica Segneri (M5S).

E serve equità, aggiunge Walter Rizzetto, (Fratelli d’Italia): “In mancanza di un’unica disciplina, il periodo di comporto segue regole profondamente diverse e disomogenee, determinando, inevitabilmente, una disparità di trattamento tra lavoratori pubblici e lavoratori privati”. E se Silvia Comaroli (Lega) ricorda lo spirito dell’articolo 32 della Costituzione “che definisce la salute come un diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività”, che va di pari passo anche con il “diritto alla conservazione del proprio posto di lavoro”, Luca Rizzo Nervo (Pd) ricorda i paradossi vissuti da alcuni malati. In particolare cita “il caso del giovane Steven Babi di Cesenatico, morto a 24 anni dopo una lunga lotta contro il sarcoma di Ewing, che per il prolungarsi della malattia si è visto revocare l’indennità di malattia dall’Inps. Tali paradossali situazioni sono la conseguenza da una parte dei progressi della scienza medica, dall’altra dell’arretratezza della disciplina che tutela il diritto del lavoratore di mantenere il proprio posto di lavoro anche in caso di malattia prolungata”.

“La salute deve essere tutelata in ogni ambito, compreso quello lavorativo”, gli fa eco Elvira Savino, Forza Italia, ricordando l’obiettivo a cui si punta: “Mettere le persone affette da una patologia grave nelle condizioni di conservare il proprio posto di lavoro, ed essere così pienamente tutelate in relazione alle proprie necessità terapeutiche e ad eventuali altre esigenze particolari”.

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