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Fibre di seta per modellare i muscoli scheletrici

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I ricercatori usano fibre di seta per combattere l’atrofia muscolare

Quando gli scienziati cercano di comprendere una malattia e testarne i trattamenti, generalmente coltivano cellule modello su una superficie di plastica piatta (si pensi alla piastra di Petri).

Ma la crescita delle cellule su una superficie bidimensionale ha i suoi limiti, principalmente perché il tessuto muscolare è tridimensionale.

Per questo, i ricercatori della Utah State University (USU) stanno usando la seta del baco da seta per far crescere le cellule muscolari scheletriche: per migliorare i metodi tradizionali di coltura cellulare e, si spera, per portare a migliori trattamenti per l’atrofia muscolare.

Gli scienziati hanno sviluppato una superficie di coltura cellulare tridimensionale facendo crescere le cellule su fibre di seta avvolte attorno a un telaio acrilico.

Il team ha utilizzato sia seta di bachi da seta tradizionali che transgenici – che vuol dire che la seta è prodotta da bachi modificati con geni della seta di ragno.

È la prima volta che la seta transgenica è stata utilizzata per la modellazione dei muscoli scheletrici, come raccontano gli autori nello studio pubblicato su ACS Biomaterials Science & Engineering .

Le cellule coltivate sulla seta hanno dimostrato di imitare più da vicino il muscolo scheletrico umano rispetto a quelle coltivate sulla solita superficie di plastica, mostrando maggiore flessibilità meccanica e maggiore espressione dei geni necessari per la contrazione muscolare.

La seta del baco da seta ha anche incoraggiato il corretto allineamento delle fibre muscolari, un elemento necessario per una robusta modellazione muscolare.

“L’obiettivo generale della mia ricerca è costruire modelli in vitro migliori”, ha affermato Elizabeth Vargis, professore associato di ingegneria biologica presso l’USU, in un comunicato stampa.

“I ricercatori coltivano cellule su queste piattaforme 2D, che non sono molto realistiche, ma ci forniscono molte informazioni. Sulla base di questi risultati, di solito passano a un modello animale, quindi passano a studi clinici, dove la stragrande maggioranza di loro fallisce. Sto cercando di incrementare quel primo passo sviluppando modelli in vitro più realistici di tessuto normale e malato”.

 

 

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