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I borghi più belli d’Italia: Veneto

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borghi veneto

Luoghi nascosti di una regione splendida e variegata

La splendida e variegata cornice del Veneto offre ampi spazi per conoscere luoghi poco noti, ma dall’incredibile bellezza. Quasi al confine con la Lombardia, si viene letteralmente accolti dal comune di Borghetto, frazione di Valeggio sul Mincio.

Un incrocio fra la via d’acqua e quella di terra ha determinato la sua posizione millenaria di zona di confine e di passaggio, dove il viaggiatore, il pellegrino e il mercante potevano sempre trovare, guerre e carestie permettendo, un luogo ospitale in cui soggiornare.

Borghetto è un esempio urbanistico unico e passeggiare nel centro di sera per vedere un tramonto sul Mincio, è come naufragare in un medioevo immaginario.

Borghetto è solo questo pugno di case, un antico villaggio di mulini in completa simbiosi con il suo fiume.

 

Un paesaggio naturale di grande respiro e suggestione, dove le acque del fiume indugiano silenziose tra anse e canneti e fanno da sottofondo alle chiacchiere della gente, raccolte e protette dalle imponenti rocche del Ponte Visconteo.

Quest’ultimo, straordinaria diga fortificata, costruita nel 1393 per volere di Gian Galeazzo Visconti, è stato definito un “check-point d’antico regime”. Lungo 650 metri e largo 25, era collegato al sovrastante castello Scaligero da due alte cortine merlate e integrato in un complesso fortificato che si estendeva per circa 16 km.

Il Castello Scaligero, dalla sommità della collina, continua a dominare con le sue torri la valle del Mincio. Della sua parte più antica resta la Torre Tonda, singolare costruzione risalente al XII secolo mentre il resto del complesso è databile al XIV secolo.

A Borghetto è documentata una thaberna, sorta di osteria-locanda, già intorno al 1300. E Valeggio sul Mincio, paese-ponte tra due regioni, per adeguarsi al crescente traffico commerciale, sviluppò  fin dal ‘700 una rete di “locande con stallo” che si traduce, ancora oggi, in un numero elevatissimo di ristoranti  rispetto alle dimensioni del paese.

Proprio in questi luoghi si possono gustare le specialità, tra cui spiccano i celebri tortellini di Valeggio, rigorosamente fatti a mano e speciali al burro fuso e salvia, ma ottimi anche in brodo. Qui il tortellino è chiamato “nodo d’amore” perché ricorderebbe il nodo di un fazzoletto di seta intrecciato da due amanti prima di gettarsi nel Mincio

Il Nodo d’Amore rappresenta il clou delle manifestazioni locali che avvengono il terzo martedì di giugno, sul Ponte Visconteo, in cui si radunano circa 4 mila commensali, per un incontro  enogastronomico tra sfilate in costumi medievali, sbandieratori e fuochi d’artificio.

Il fiume Mincio è anche protagonista della tavola con secondi piatti quali luccio in salsa, la trota e l’ anguilla, preparati in vari modi, e accompagnati dal Bianco di Custoza e dal Bardolino, dai vini Doc della zona,.

Nei pressi del Lago di Garda si trova San Giorgio, frazione di Sant’Ambrogio di Valpolicella.

Conosciuto anche come San Giorgio Inagannapoltron, si svela così come nei tempi antichi, una naturale fortezza che si raggiunge però dopo un cammino lungo e faticoso nonostante la prima impressione di vicinanza.

Da ciò deriva appunto il nome “ingannapoltron”. Un soprannome che sembra risalga al medioevo quando la scherzosa parola “poltron”, persona pigra, fu aggiunta al toponimo “San Giorgio in Ganna”:

Nel centro del paesino ecco la Pieve di San Giorgio di Valpolicella, che risale al VII-VIII secolo e  che ne fa uno dei luoghi di culto, ancora oggi utilizzati, più antichi di tutto il territorio veronese. Dotata di chiostro, sala capitolare e campanile, la chiesa fu costruita su resti di precedenti edifici molto antichi.

Dal chiostro della Pieve si accede all’area archeologica sul retro dell’abside orientale, dove sono visitabili i ritrovamenti di alcuni edifici dell’età del Ferro. Uno di questi è affiancato da una cisterna per la raccolta dell’acqua che serviva nella lavorazione dei metalli.

Adiacente alla chiesa, sulla piazza del borgo, si trova l’ingresso del Museo antiquarium, che raccoglie tutti i reperti della preistoria, dell’età del bronzo e del ferro e dell’età romana trovati nel paese e nei suoi dintorni.

Una particolare curiosità di questo piccolo borgo è la via Crucis dei Lapicidi.

Accanto al cimitero, gli allievi della Scuola d’Arte hanno scolpito una via crucis speciale, con 14 stazioni rappresentate da libri aperti in pietra. Da un lato è scolpita la passione di Cristo, dall’altro la passione degli scalpellini e dei marmisti del comune che hanno dovuto emigrare in cerca di lavoro.

Ispirati alle antiche tradizioni sono anche i piatti offerti dal borgo, semplici  e variegati, come la minestra di fàe (fave), le paparele e fiagadini (tagliatelle in brodo con i fegatini), il brasato all’Amarone, il tortel con l’erba amara (frittata alle erbe). E per concludere la pissota brassadele (ciambelle dolci) e il nadalin (dolce alle mandorle).

La presenza di ulivi e vigneti, inoltre, porta alla produzione di olio extra vergine di oliva e dei vini DOC e DOCG della denominazione Valpolicella quali Amarone, Recioto, Valpolicella Superiore e Ripasso.

Proseguendo nel territorio di Padova si incontra Montagnana perfetto esempio di città fortificata del XIV secolo, rappresentato dalle mura lunghe circa due chilometri che avvolgono il borgo e sono rafforzate da 24 torri esagonali con merlatura guelfa.

All’interno della cortina trecentesca, il disegno urbano mantiene l’impronta medievale con vie a portici e vicoli d’atmosfera.

Accanto alla cortina difensiva Villa Pisani è la dimora extraurbana edificata, a metà Cinquecento, da Andrea Palladio per il nobile veneziano Francesco Pisani. Una delle prime applicazioni del modello a cubo, scompartito da colonne doriche e ioniche secondo il gusto rinascimentale.

Di fronte alla villa del Palladio, il Castello di San Zeno è costituito da un edificio principale rettangolare, da un cortile interno protetto da due torri di vedetta e dal mastio alto 38 metri che domina il nucleo urbano.

Il cuore cittadino è la Piazza Vittorio Emanuele II, abbellita dal listón in trachite grigia dei Colli Euganei con inserti in pietra bianca, sull’esempio di piazza San Marco a Venezia. Sulla piazza si affacciano eleganti edifici, come il Palazzo Zanella dai raffinati camini a corolla e il Palazzo Valeri di gusto settecentesco.

Il Duomo di Montagnana presenta all’esterno uno stile tardo gotico, abbellito dal portale in marmo bianco attribuito a Jacopo Sansovino o alla sua scuola, e all’interno un carattere rinascimentale. I due affreschi della controfacciata raffiguranti David con la testa del gigante Golia e Giuditta vittoriosa su Oloferne sono opera del Giorgione.

Lo spirito medievale del borgo si rispecchia in un grande evento come il Palio dei Dieci Comuni del Montagnanese, la prima domenica di settembre. Una rievocazione medievale con cortei storici, esibizioni di musici e sbandieratori.

A questo si affianca la Festa del Prosciutto Veneto Berico-Euganeo «Crudo dolce di Montagnana» Dop, che si svolge a maggio con rassegne e degustazioni di specialità locali.

Il prosciutto crudo di Montagnana, lavorato e stagionato secondo la tradizione, ha un gusto dolce e morbido dovuto alla sapiente dosatura di sale. La tradizione del maiale si esprime anche in numerosi piatti, tra cui spicca la rinomata “pasta e fasòi” (fagioli) con il battuto di lardo, da accompagnare con gli ottimi vini Merlara Doc.

Montagnana, però, è anche luogo di partenza ideale per i più importanti centri d’arte e cultura del Veneto. Nelle immediate vicinanze si trovano Villa Pojana del Palladio, il trecentesco Castello di Bevilacqua con il suo grande parco e Villa Correr a Casale di Scodosia, bellissima villa veneta di fine Seicento.

In mezz’ora circa si raggiunge l’area naturalistica dei Colli Berici, le ville venete in provincia di Vicenza, il Castello di Soave nel veronese e  il polmone verde dei Colli Euganei con la località  di Arquà Petrarca

Quest’ultima rappresenta uno dei borghi più esemplari della regione.

Arquà Petrarca, infatti, è chiamato la  “la perla dei Colli Euganei”, e fu luogo di riposo del Petrarca negli ultimi suoi quattro anni di vita

Arquà Petrarca ha qualcosa di indefinibile che aleggia nell’aria, a partire dai toni caldi della pietra e del cotto che danno al paesaggio un fascino sia toscano che  provenzale. Ed è questo il motivo per cui piacque tanto al Petrarca, che vi ritrovava panorami a lui cari.

Lungo le rampe tortuose che dal paese basso portano a quello alto, ci si trova subito immersi in una fantasia rurale, che comincia con le prime case in pietra, prosegue con la visione dei vecchi lavatoi e abbeveratoi e termina sul sagrato della chiesa arcipetrale di Santa Maria Assunta, in mezzo al quale sorge la tomba del Petrarca, l’arca eretta sei anni dopo la sua morte in marmo rosso di Verona.

Arrivati in Piazza Petrarca, nel borgo alto, si trova il Palazzo Contarini, in stile gotico veneziano del XV secolo.

Uscendo dalla piazza e percorrendo via Roma si incontrano una casa romanica con aggiunte gotiche e quattrocentesche e una piccola dimora con nicchia e affresco che era sede, agli inizi del Trecento, di un ospedale per mendicanti.

Dopo un’altra casa duecentesca, appare Villa Alessi, di origine trecentesca e restaurata nel 1789. Alla fine della salita ecco lo scorcio sublime dell’ Oratorio della Santissima Trinità con la Loggia dei Vicari, un tempo abbellita dagli stemmi gentilizi dei nobili padovani che amministrarono Arquà per conto della Serenissima.

Arquà Petrarca è il posto giusto per andare letteralmente in brodo di giuggiole, sia per la bellezza del paesaggio e dell’antico borgo, sia perché, ad Arquà, la giuggiola è regina, tanto da essere celebrata con una festa la prima e seconda domenica di ottobre,  mentre altrove il frutto fa ormai parte dei sapori dimenticati.

Si arriva poi alla casa del Petrarca, immersa nel verde e circondata dagli orti che lui stesso curava, L’abitazione è preesistente al poeta, cui fu donata nel 1369 dal signore di Padova, Francesco il Vecchio da Carrara.

Petrarca la ingrandì, la migliorò e la abitò, non in maniera continua, dal 1370 al ‘74.

Casa del Petrarca conserva intatto lo studiolo in cui morì il poeta, contiene un piccolo museo petrarchesco e fu abbellita da pitture cinquecentesche ispirate al Canzoniere.

La suggestione di questo luogo, che naturalmente oggi, è alquanto diverso da come lo vedeva Petrarca, sta nel suo potere evocativo, complice il paesaggio che gli si distende davanti e che è molto simile a quello ammirato dal poeta.

Anche la provincia di Treviso racchiude splendidi borghi, e in particolare Portobuffolé, un gioiellino incastonato nella campagna trevigiana, dove il Veneto volge ormai al Friuli.

Portobuffolè è un borgo d’impronta veneziana che conserva la grazia di un’ amante dell’arte e della poesia, e la volubilità del suo fiume, il Livenza.

Un po’ dell’antica anima è rimasta nel Prà dei Gai quando, inondato dalle acque del Livenza, il bosco diventa un lago grigio su cui volteggiano i gabbiani.

Il Prà dei Gai è il bacino naturale del fiume Livenza in caso di piena, e una grande oasi di verde quando non è inondato. Oggi è il posto adatto per una gita fuori porta, soprattutto in occasione della festa di San Marco, patrono del borgo, che ha luogo il 25 aprile con manifestazioni sportive e culturali e picnic a base di fortaja de San Marco, la frittata accompagnata da insalatina novella.

Le altre specialità culinarie del borgo, invece, sono gli gnocchetti al sugo d’anatra, il rognone di vitello, il risotto al piccione e un piatto di antico sapore contadino come la zuppa matta, a base di zucca, pane, latte e funghi, tutti accompagnati dai vini rossi dell’Alto Livenza.

A Portobuffolè si entra dal ponte che immetteva alla Porta Trevisana, distrutta nel 1918. Si arriva subito a Piazza Beccaro, una piazzetta con acciottolato circondata da bei palazzi. Dalla piazza si arriva al “Toresin” e a Porta Friuli, dove campeggia, sopra l’arco esterno, un Leone di San Marco che inneggia ai “diritti e doveri dell’uomo e del cittadino”, segno evidente del passaggio della Rivoluzione Francese.

Ma da Piazza Beccaro si arriva in breve anche a Casa Gaia, una splendida dimora del trecento in cui visse fino alla morte, avvenuta nel 1311, la celebre e discussa Gaia da Camino. Fu lei a trasformare quella che era una casa torre in una piccola reggia. La facciata è ingentilita da bifore arricchite di colonnine sottili ed eleganti con capitelli a fior di loto.

Da questo personaggio, molto probabilmente,  deriva anche un interessante evento che ha luogo tutti i sabati di giugno come il Gaia Jazz.

Una rassegna, un luogo di incontri dove approfondire la conoscenza delle aziende che sostengono il progetto in un ambiente in cui la musica e la degustazione creano un’atmosfera unica. Organizzatori, musicisti, spettatori creano un ambiente singolare, dove tutti gli elementi si uniscono in un’unica esibizione.

Ad Asolo si arriva per curare gli affanni e vivere in pace. Come accadde ad Eleonora Duse, che qui si ritirò lasciate le scene.  Il segreto di Asolo, forse, sta nell’antica armonia tra luoghi della natura e opere dell’uomo, ma risulta difficile descrivere in breve il piacere di una visita in questo borgo.

 

La Cattedrale di Asolo, ricostruita nel 1747, conserva nella facciata la struttura romanica, mentre al suo interno sono custodite opere notevoli tra cui spicca l’Assunta, capolavoro di Lorenzo Lotto del 1506. Entrando in centro da sud, da Porta Loreggia, e prendendo il Foresto vecchio, ci si imbatte nella chiesa di San Gottardo  e in Casa Malipiero, che ospitò il musicista veneziano.

Dalla centrale Piazza Garibaldi si sale a piedi lungo via Regina Cornaro tra due ali di palazzi quattrocenteschi affrescati e dotati di portici.  A sinistra c’è il castello della Regina, ora Teatro Duse, con la torre Civica e la più piccola Reata. Scendendo, si lascia sulla sinistra via Sottocastello con l’omonima porta e si passa davanti a Palazzo Beltramini, ora municipio.

In via Canova si ammirano Casa Duse, Casa De Maria e la graziosa chiesetta di Santa Caterina con affreschi del Trecento.

Salendo per la stretta via Sant’Anna, si arriva in faccia all’omonima chiesa, mentre  tornando dalla piazza centrale si sale per via Dante e, lasciata sulla destra l’elegante Villa Scotti Pasini, si incontra l’ex monastero benedettino di San Pietro.

Nei dintorni di Asolo, inoltre, sono da vedere grandi capolavori dell’arte italiana come Villa Barbaro di Maser, progettata da Andrea Palladio con affreschi di Paolo Veronese, Villa Emo, altro capolavoro dell’architettura palladiana oppure, a Possagno, la casa natale e la Gipsoteca dello scultore neoclassico Antonio Canova.

E poi ancora Follina un paese che si trova ai piedi delle Prealpi Trevigiane, tra Vittorio Veneto e Valdobbiadene, nella pregiata zona vinicola che comprende i comuni  della denominazione Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg. Il borgo, infatti, è entrato nel circuito della Primavera del Prosecco, importante rassegna che promuove il celebre vino,  con serate di degustazione e la mostra Sulle note del Prosecco Docg.

A Follina si ammira gioiello architettonico dell’abbazia di Santa Maria in Sanavalle, dove l’arte monastica, tesa alla creazione del bello, con i suoi archi, capitelli e colonne e con i suoi giochi di luce, ha lasciato in eredità capolavori come il Chiostro terminato nel 1268 e il crocefisso ligneo di età barocca. Nel XII secolo, ai benedettini, subentrarono i cistercensi, che riadattarono il monastero al particolare stile costruttivo del loro ordine.

Ancora oggi l’Abbazia è il centro della vita culturale, ospitando a giugno i Concerti d’Alta Marca nella cornice dell’antico Refettorio.

Tradizione vuole che siano stati i monaci dell’Abbazia di Santa Maria a portare a Follina la lavorazione della lana. Sicuramente a loro va il merito di aver sviluppato l’attività di “follatura” dalla quale deriva il nome del paese, favorita dall’abbondanza di pascoli e di corsi d’acqua.

Proprio ai piedi dell’Abbazia sorge Palazzo Barberis, realizzato dal bresciano Francesco Fadda, che dal 1666, agli umili panni di lana, affiancò la produzione di tessuti più raffinati. Più recente la storia del Lanificio Andretta, costruito nel 1820, poi diventato Collegio San Giuseppe.

Nell’Ottocento, a resistere alla contrazione del mercato  furono i piccoli lanifici più dinamici come quello avviato nel 1795 da Gaspare Paoletti. Il Lanificio Paoletti fu l’unica manifattura superstite di una tradizione secolare, premiata dai marchi della moda che ne utilizzano i tessuti per le loro collezioni

Oggi, nell’area dismessa dell’ex Lanificio Paoletti, con la regia della Compagnia della Lana e della Seta, ha preso il via la rassegna La Via della Lana, aperta a interessanti contaminazioni tra manifattura tessile, arte e design.

Poco distante ecco Cison di Valmarino che stupisce non solo per la bella piazza dall’atmosfera veneta, ma per il rapporto tra il luogo e l’acqua.

Il torrente Rujo taglia per il lungo il borgo, e da sempre ne ha caratterizzato l’aspetto. La vita quotidiana scorreva intorno a queste acque che alimentavano mulini e magli, dando lavoro a fabbri e mugnai. Mulini, lavatoi e abbeveratoi sono gli elementi della civiltà rurale che Cison sta salvaguardando, insieme all’artigianato per il quale organizza un’importante rassegna da oltre trent’anni.

Dal 1980, infatti, il ferragosto di Cison e la festa di Santa Maria Assunta sono stati inglobati in una delle più importanti rassegne della produzione artigianale in Italia. Oltre duecento espositori, provenienti anche dall’estero, animano con le loro botteghe i vecchi portici, i cortili e i vicoli del centro storico

Ad ottobre, invece, nella vicina frazione di Tovena, si svolge Fiera Franca.

In occasione della festa dei santi patroni Simone e Giuda, si svolge da secoli la “fiera de san Simòn”, che fino agli anni Quaranta del Novecento faceva incontrare agricoltori, pastori e mercanti dell’area pedemontana e del bellunese per gli scambi di prodotti alimentari, bestiame e attrezzi agricoli.

Anche Cison di Valmarino si trova nelle terre del Prosecco e le ben pettinate colline su cui ovunque si poggia lo sguardo sono punteggiate da alberi da frutto e casolari ristrutturati. Cison, con le sue ville venete settecentesche, le sue acque e il rosso delle imposte delle sue case, è un meraviglioso angolo di provincia veneta.

Il borgo di Cison è sorvegliato dal Castello Brandolini, oggi diventato hotel di lusso. Il complesso fortificato del XII secolo fu trasformato dai conti Brandolini con l’aggiunta dell’ala rinascimentale e l’innalzamento delle mura e dei bastioni esterni.

Ma l’attrazione principale è il centro storico con l’armonica Piazza Roma, su cui si affacciano il Palazzo Barbi, villa veneta ora sede del Comune, e la Loggia, costruita a metà Seicento per ospitarvi il tribunale, e oggi teatro.

La chiesa arcipretale di Santa Maria Assunta è un gioiello settecentesco dalla doppia facciata: quella dell’ingresso principale, a ovest, è ornata da tre statue ottocentesche di Marco Casagrande raffiguranti Fede, Speranza e Carità, mentre quella a est si affaccia su piazza Roma e presenta ai lati, disposte in coppia, Prudenza e Giustizia, Fortezza e Temperanza.

E a meravigliare, ancora, è lo scorrere dell’acqua fin dentro il borgo, grazie a un percorso,  le vie dell’Acqua, che, costeggiando il torrente Rujo, si snoda nel bosco per raggiungere vecchi mulini e altre opere idrauliche, testimonianze di archeologia industriale.

Prima di arrivare all’altura su cui sorge il borgo di Mel, frazione di Borgo Valbelluna si nota la secentesca Villa Luzzati con i suoi camini posti agli angoli.

Imboccando la salita in direzione del centro urbano, si incontrano Villa Granelli e, più avanti, Villa Migliorini, oggi Tonon, che con la sua ampia facciata e i camini slanciati richiama la struttura della villa veneziana del Cinquecento.

Attraverso una via stretta si sbuca nella piazza principale, uno spazio trapezoidale che appare come una quinta scenografica dove edifici di epoche diverse si presentano in una perfetta armonia. Tra questi, il cinquecentesco Palazzo Zorzi ospita il Municipio, affrescato nel salone del primo piano da Marco da Mel con episodi dell’Orlando Furioso.

All’angolo nord-ovest della piazza, il secentesco Palazzo delle Contesse ospita il Museo Archeologico, che espone i corredi tombali della necropoli paleoveneta ed in particolare un’importante fibula a forma di felino di fattura celtica.

La piazza è chiusa a nord dalla mole della settecentesca chiesa parrocchiale, bell’esempio di tradizione palladiana, al cui interno si notano le opere di Girolamo Denti del XVI secolo e  Giovanni da Mel. Di fronte al municipio si trova  la secentesca Villa Fulcis con l’attiguo Palazzo Fulcis del secolo successivo che è la sede della mostra mercato Mele.

Un evento che si svolge  il secondo fine settimana di ottobre, in cui i proprietari aprono corti e palazzi ai visitatori che vengono per degustare le cento varietà di mele e i prodotti tipici, e per la mostra dell’artigianato che si dispiega lungo il centro storico. Radicele, invece, è il nome della mostra mercato di primavera, il terzo fine settimana di maggio, dedicata alle erbe spontanee, tra cui ortica, luppolo e silene, usate nella cucina bellunese.

Risalendo la Val Pettorina, nella parte alta della provincia di Belluno e nel cuore delle Dolomiti, Sottoguda, frazione di Rocca Pietore è l’ultimo borgo prima di Malga Ciapéla e della Marmolada.

Da Malga Ciapéla parte la funivia che in tre tronconi raggiunge i 3309 metri di Punta Rocca, seconda cima della Marmolada e delle intere Dolomiti. Tra i tanti itinerari possibili, se ne segnalano  in partenza da Sottoguda.

Il primo porta alla forcella Valbona a 2196 metri, abitata solo da stambecchi e camosci, seguendo i segnavia tra abeti, ontani e piante di mirtillo.

Il secondo conduce alla forcella delle Fontane, a 2211 metri, salendo per la vecchia mulattiera oltre l’abetaia, e raggiungendo la solitudine dei pascoli in un’armonia di luci e colori, mentre il terzo arriva alla malga Franzedàz, a 1980 metri, un panoramico pianoro disseminato di piccoli fienili e casére, cucine di pastori.

Sottoguda si presenta come un antico villaggio le cui testimonianze scritte risalgono al 1260 e si caratterizza per i numerosi tabièi, fienili in legno diffusi nell’area dolomitica di cultura ladina, usati dai contadini per il deposito del fieno e il ricovero del bestiame e degli attrezzi agricoli.

L’agricoltura è stata per secoli la principale fonte di sostentamento della piccola comunità. Oggi sopravvive anche la tradizione della lavorazione artistica del ferro battuto, mentre in estate, la sera di ogni giovedì, Sottoguda si anima con la manifestazione Na Sera da Zacàn.

Arti e mestieri di un tempo, musica e cibo accompagnano le espressioni dell’artigianato artistico e la riproposizione di vecchi lavori come la battitura del ferro, la lavorazione della lana e l’intaglio del legno.

L’edificio più antico di Sottoguda, l’unico risparmiato dall’incendio del 1881, è la chiesetta dedicata ai santi Fabiano, Sebastiano e Rocco, consacrata nel 1486 quando doveva servire una comunità costituita da una decina di abitazioni.

La parrocchiale di Rocca Pietore, invece, costruita nel 1142 in stile gotico alpino, si distingue per lo splendido flügelaltar, altare ligneo policromo con portelle, tipico del Tirolo e della Baviera, realizzato nel 1517 dallo scultore di Bressanone Ruprecht Potsch.

Subito dopo le ultime case inizia la gola dei Serrai di Sottoguda, un profondo canyon di circa due chilometri, oggi Parco di interesse regionale, che arriva fino alla conca di Malga Ciapéla, ai piedi della Marmolada.

Un tempo lungo i Serrai transitavano le mandrie di mucche e le greggi di capre dirette ai pascoli di alta montagna, Oggi grossi greggi di pecore stanziano in estate sul territorio per pascolare i prati altrimenti incolti, mentre in inverno la gola diventa una palestra di arrampicata su ghiaccio tra le più apprezzate d’Europa.

Alessandro Campa 

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