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Teatro: Raizes porta in scena il grido di Luca Neves, ‘Mi chiamo Luca, sono italiano’ (2)

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(Adnkronos) – A causa della mancanza della carta di identità, Luca è però costretto a più riprese a rifiutare offerte di lavoro in Italia e all’estero, vedendosi limitati, nei fatti, i diritti al sostentamento e ad un arricchimento sociale e culturale in seno alla comunità. Per poter sopravvivere è costretto dunque ad arrangiarsi con lavori che svalutano il livello della sua preparazione, costretto a lavorare senza tutele e con retribuzioni assenti o non commisurate alle sue mansioni. Luca si occupa al contempo del padre, disabile, che risiede all’American Hospital: l’uomo, dopo aver lavorato e pagato i contributi in Italia, dal 1975 fino ad oggi, percepisce la pensione italiana. Nel 2012 si ammala anche la madre di Luca: la donna (morirà l’anno successivo) necessita di cure 24 ore su 24. È in questo frangente che gli viene comunicato un nuovo espatrio dalla Questura di Tor Sapienza, dove peraltro gli viene detto che l’unica soluzione è andare a Dakar per un timbro.

Ad oggi Luca è uno chef ma è anche un rapper che canta la sua apolidia. Si può vivere senza documenti, senza uno Stato che accolga i propri cittadini? E Luca, a quale nazione appartiene? “Luca Neves è di fatto un cittadino italiano, per quanto le istituzioni non intendano riconoscerlo – dice il regista Alessandro Ienzi -. Il suo caso è l’ennesimo che ci racconta come l’Italia sia cambiata ma non vogliamo accettarlo. La multiculturalità e la condizione degli immigrati di seconda generazione è un tema da cui dipenderà il futuro del Paese nei prossimi decenni. Lo ius soli, un’amministrazione più efficiente e più accorta verso il cittadino, o a chi spetta esserlo, sono elementi fondamentali per l’affermazione dello stato di diritto”.

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