Civilta’ rupestre e ambiente: cosa abbiamo da imparare?

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Cosa abbiamo da imparare da chi viveva nelle grotte? Tanto, piu’ di quello che immaginiamo

 

La civiltà rupestre non è un fenomeno circoscritto: l’occupazione delle grotte ha rappresentato, con frequenza variabile, un fenomeno di lunga durata della storia umana in terra jonica. Ma non si può negare che con il termine civiltà rupestre si intende spesso un’epoca storica ed un ambito geografico: il Medioevo della Terra delle Gravine. 

La civiltà rupestre viveva nelle grotte, eliminava la pietra in eccesso per cotruire la propria cosa. Cosa abbiamo noi da imparare da quelle gente? Quale rapporto aveva quella civiltà con l’ambiente? A raccontarcelo è un esperto in materia, l’avvocato Giulio Mastrangelo, studioso e appassionato, in particolare, degli habitat rupestri di Massafra e dell’intera provincia di Taranto.

 

1. La civiltà rupestre aveva un rapporto con l’ambiente diverso da quello nostro. Ce lo racconta?

Innanzitutto, una precisazione metodologica. A livello scientifico non è corretto parlare di “civiltà” rupestre, come ha dimostrato egregiamente il mio Maestro prof. Roberto Caprara. Conviene parlare allora, di insediamenti rupestri e di Habitat rupestre. Orbene, passando alla domanda, occorre premettere che la nostra Terra era una provincia periferica dell’Impero Bizantino e che quindi, in linea di massima, le tecniche di scavo e i modelli iconografici provenivano da Costantinopoli, capitale dell’Impero. Naturalmente, qui a Massafra abbiamo grotte scavate artificialmente anche di epoca classica, risalenti al IV-III sec. a. C. (vedi la grotta in contrada Corvo, ove si conserva la più lunga iscrizione messapica della Puglia). Il fenomeno dell’Habitat rupestre è da mettere in relazione al tipo di roccia che caratterizza le nostre Gravine, la calcarenite, che si lascia scavare facilmente. Ovunque nel modo antico da Tebe di Egitto, ai valloni di Goreme e Urgup in Cappadocia, alle grotte di Matala a Creta ecc.

Scavare, anzichè costruire, offriva indubbi vantaggi: 1) mentre per costruire occorrono due attività, cavare la pietra e poi costruire aggiungendo pietra su pietra, per scavare occorre una sola attività, sottrarre la pietra; 2) le case grotte sono isotermiche (circa 19-20° C) e quindi sono fresche in estate e calde in inverno. In antico, i più abbienti abitavano in grotta. Quelli più poveri abitavano in case costruite con mattoni crudi, o in baracche in legno, o in ripari costruiti ammassando pietrame e coprendo il tutto con assi di legno e paglia.

2. Cosa dovremmo imparare noi dalla civiltà rupestre?

E’ pura follia continuare a costruire case in condominio che ci costano una fortuna riscaldarle in inverno e rinfrescarle in estate. Ormai la nuova frontiera in Cappadocia come in Francia nella regione della Loira è rappresentata dalla valorizzazione e dal riuso di ambienti rupestri e ipogei. In Cappadocia sono numerosi gli alberghi a 5 stelle ottenuti ristrutturando complessi ipogei o rupestri. In Francia le ex cave di pietra (con cui costruivano i Castelli della Loira) sono stati recuperati e destinati a studi professionali, laboratori artigiani ma anche a bar e ristoranti. In Italia cosa si aspetta? C’è da pensare che la lobby dei palzzinari vi si opponga, con la scusa che le case grotte sono umide. Chiedo cosa ne sarebbe di una casa in condominio che restasse per secoli in completo abbandono?

3. Lei si occupa, in particolare, delle civiltà rupestri della Puglia. Queste hanno molte similitudini con la Cappadocia. Quali sono?

Beh, le similitudini si riducono a poca cosa. L’iconografia dei santi è la stessa. Qui da noi si è continuato ad affrescare le chiese rupestri con immagini “bizantine” (tra virgolkette) sino a metà del Trecento. Spesso venivano monaci o pittori dall’Oriente (a Creta c’era una fiorente scuola pittorica) che ripitturano le immagini sacre su altre preesistenti. A Massafra, per es., nella chiesa rupestre di S. Marina nella Gravina San Marco, l’affresco della Deesis dell’altare maggiore (o centrale) è stato realizzato da un pittore greco in quanto in calce all’affresco c’è scritta la data in greco (1324). Sono ancora in corso studi e rilievi da parte di soci dell’Archeogruupo “E. Iacovelli” di Massafra e di docenti dell’Università di Firenze. Il 23 agosto parte un’ennesima missione archeologica per la Cappadocia. Gli studi non sono facili in mancanza di bibliografia precedente, anche perché i Turchi sono di cultura islamica e sono rari gli studiosi che si interessano di archeologia e arte cristiane.

Quello che posso dire per esperienza diretta in loco, è che in Cappadoci c’è una grande varietà di ambienti ipogei che per architettura e ricchezza di immagini non abbiamo nè a Massafra nè a Matera. La cosa si spiega col fatto che la Cappadocia si trovava al centro dell’Impero bizantino mentre la Puglia, ribattezzata Langobardia dal X° sec., era una provincia periferica spesso contesa tra arabi e Longobardi. 

Devo infine segnalare che proprio a Massafra abbiamo la chiesa rupestre di San Posidonio in cui oltre all’affresco di S. Posidonio (scritto in greco) c’erano dei clipei affrescati che rappresentavano santi cappadocesi (S. Elasippo, Melesippo e Neonilla). Un collegamento con la Cappadocia quindi c’è, ma tieni conto che il territorio, per la sua storia, è stato spesso popolato e ripopolato a causa delle continua guerre e dei frequenti passaggi di mano tra Bizantini, Arabi e Longobardi.

4. Lei ha dato vita ad una pagina Facebook in cui racconta e spiega la civiltà rupestre. Con quale fine? il popolo di Facebook è interessato?

Il fine per cui ho dato vita al gruppo “Amanti del paesaggio e del territorio” è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica, di far conoscere il nostro “tesoro” abbandonato alla massa e soprattutto alle nuove generazioni, suscitare nuovi entusiasmi per la tutela e la conservazione del patrimonio storico e archeologico della Puglia e di Taranto in particolare. Non so quanta gente visualizza la mia pagina, ma coloro che cliccano su “mi piace” o ne parlano con commenti sono un numero confortante. Facebook serve a mettermi in contatto con gente sconosciuta, fuori dell’ambiente pugliese, e questa è una grande opportunità.

 

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