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LECCE: Capitale Italiana della Cultura 2015

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Lecce, elegante tesoro barocco nel tacco dello stivale

Il punto più a sud della Puglia ospita una piccola città piena di meraviglie artistiche e culturali. Lecce si presenta come una preziosa bomboniera che merita di essere conosciuta. Un lungo viaggio, certo, quasi fino alla fine dell’Italia. Ma una volta raggiunta la meta si resta estasiati da un luogo così seducente.

Lecce è una città da scoprire rigorosamente a piedi per godere della bellezza che la caratterizza e del fascino che risiede in ogni suo vicolo. La visita del capoluogo salentino può iniziare attraversando l’arco di Porta Napoli e inoltrandosi nel centro storico.

Da qui si percorre via Palmieri, in cui poter ammirare palazzi nobiliari e luoghi culturali come il Teatro Paisiello.

Un omaggio al grande musicista Giovanni Paisiello, l’edificio rappresenta un tipico esempio architettonico di “teatro all’italiana” che si diffuse tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. Progettato da Oronzo Bernardini e sorto su un precedente teatro settecentesco in legno, fu ricostruito in pietra con delle decorazioni delicatissime i cui lavori furono affidati a maestranze napoletane.

Nell’atrio principale del teatro sono da notare il pianoforte appartenente al grande tenore Tito Schipa e due nicchie che ospitano i busti di Giovanni Paisiello e Leonardo Leo, importante musicista salentino. Poco più di trecento posti a sedere regalano un ambiente intimo, elegante e pieno di energia, ideale per ospitare spettacoli di prosa, balletti ed eventi prestigiosi.

Proseguendo la passeggiata lungo l’affascinante via Palmieri si resta di colpo incantati trovandosi di fronte a Piazza Duomo.

Uno scenario unico in cui la vivacità dell’arte barocca risplende in tutta la piazza, valorizzata ancora di più dalla morbida e friabile pietra leccese che, in alcune ore del giorno, si tinge di rosa grazie ai giochi di luce disegnati dal sole al tramonto.

Una particolare piazza chiusa su tre lati. Un grande cortile, poi modificato, che risale al tempo del vescovo Gerolamo Guidano. Ad esso si accede passando sotto lo sguardo attento di Sant’Oronzo, Sant’Irene, Santa Venera e i Padri della Chiesa, posizionati sui propilei che hanno sostituito i muri originali di ingresso.

A sinistra della piazza si erge maestoso il campanile, mentre al centro la Cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta e, in posizione più arretrata, l’episcopio. Sulla destra, infine, si trova il seminario.

Un campanile di quasi 71 metri, tra i più alti d’Europa che, una volta arrivati in cima, offre una vista sul mar Adriatico ad una decina di chilometri di distanza, ma anche sulle montagne dell’Albania se il cielo è particolarmente limpido.

Costruito tra il 1661 e il 1682 dall’architetto leccese Giuseppe Zimbalo, il Campanile, nella sua attuale versione, sostituì la precedente torre campanaria normanna voluta da Goffredo d’Altavilla e crollata agli inizi del Seicento.

Poi la Cattedrale, gioiello di piazza Duomo, che rispetto all’ingresso della piazza, si trova collocata in modo parallelo e accoglie così chiunque la visiti.

Il Duomo di Lecce venne eretto una prima volta nel 1144 per volere del conte normanno Goffredo II e la seconda nel 1230, grazie alla generosità dei leccesi e all’impegno del vescovo Roberto Volturio, che volle onorare l’antica patrona Sant’Irene.

A partire dal 1659 anche questo fu ricostruito dall’architetto leccese Giuseppe Zimbalo, per volontà del vescovo Luigi Pappacoda, desideroso di un Duomo più capiente per Lecce e che legò così il suo nome a uno dei capolavori dell’arte barocca. All’interno, una penombra soffusa avvolge le navate. Nella cripta a pianta quadrata, invece, realizzata nel 1517, quattro file di colonne sono arricchite da capitelli romanici.

La straordinaria bellezza di Piazza Duomo, già ricca del Campanile e del Duomo, continua con l’Episcopio, dimora dell’Arcivescovo e insieme sede della Curia leccese. Fu eretto una prima volta nel quindicesimo secolo, ma poi ricostruito e ampliato nei secoli successivi.

All’interno l’abitazione del vescovo, gli appartamenti di rappresentanza e gli uffici della Curia, a cui si aggiunge un’ampia galleria in cui si possono ammirare la statua policroma dell’Assunta e alcuni dipinti, tra cui una Vergine col Bambino del Catalano e la Crocifissione di San Pietro di Luca Giordano.

Il Seminario di Piazza Duomo, invece, rappresenta un insieme di tesori artistici ed è il simbolo dell’autorità ecclesiastica e spirituale della Chiesa sulla comunità leccese.

Realizzato su progetto dell’architetto Giuseppe Cino per volontà del vescovo Michele Pignatelli, i suoi lavori iniziarono nel 1694 e fu inaugurato nel 1709.

L’edificio, oggi, ospita sia l’Archivio diocesano e la Biblioteca innocenziana che il Museo diocesano d’arte sacra di Lecce. L’ingresso presenta, lateralmente, otto busti in pietra leccese che raffigurano i dottori della Chiesa. All’interno dell’edificio una cappella del 1696 custodisce tele di San Gregorio Taumaturgo, di San Vincenzo di Saragozza e di Santa Domenica.

La Biblioteca innocenziana contiene oltre diecimila volumi, anche di epoca quattrocentesca e cinquecentesca, oltre ad opere d’arte e ornamenti sacri che testimoniano la forza artistica ed economica della Curia leccese nei corso dei secoli.

Visitare Piazza Duomo offre la sensazione di aver potuto ammirare dal vivo un luogo dal fascino eccezionale che nel diciassettesimo secolo ospitava una fiera, detta “Spasa del Monsignore”, nella quale si vendevano prodotti della terra, giocattoli artigianali e terraglie.

Una volta usciti da Piazza Duomo si prosegue per Corso Vittorio Emanuele II dove si incontra la Chiesa di Sant’Irene, precedente patrona di Lecce.

ùConsiderata il capolavoro del teatino Francesco Grimaldi, fu costruita dal 1591 al 1639 da maestranze leccesi.

L’edificio rimanda al modello della basilica di Sant’Andrea della Valle a Roma. La facciata si compone di un impianto a doppio ordine. Le colonne risultano intervallate nell’ordine inferiore da nicchie vuote, mentre nell’ordine superiore da una grande finestra.

Lo spazio centrale dell’ordine inferiore accoglie il portale, sormontato dalla statua in pietra di Santa Irene, opera di Mauro Manieri del 1717, mentre la facciata è coronata da un timpano triangolare che raffigura al centro le insegne dell’ordine dei teatini.

A pochi metri la maestosa e splendida Chiesa di Santa Chiara rimasta incompiuta. La chiesa che si ammira ancora oggi fu ricostruita tra il 1687 e il 1691 su progetto di Giuseppe Cino, fra i più autorevoli architetti del barocco leccese. Il prospetto incompiuto è a due ordini e leggermente convesso, mostrandosi quasi in chiaroscuro per via dell’articolata decorazione.

La bellezza dell’esterno è accompagnata dalla magnifica ricchezza decorativa interna degli altari, che sembrano ricamati nella pietra. Ma l’elemento di maggiore attrazione è il controsoffitto, totalmente in cartapesta. Uno dei rarissimi esempi rimasti di questo genere di coperture, che venne realizzato in pannelli distinti poi montati insieme da molte botteghe che sorsero nell’area stessa della chiesa.

Da qui si passa accanto all’ all’ex Monastero delle Clarisse, oggi sede del MUST- Museo Storico della Città.

Il bellissimo monastero attiguo alla Chiesa di Santa Chiara ospitava le suore francescane di clausura che, con ogni probabilità, lo hanno abitato fino alla fine dell’Ottocento.

Oggi, invece, con l’eleganza degli ambienti ristrutturati e il candore della calce e della pietra leccese, accoglie gli ospiti delle meravigliose sale espositive, nelle quali sono custoditi reperti e testimonianze di varie epoche della storia cittadina.

Oltre alle mostre di arte contemporanea che si organizzano al suo interno, un’esposizione permanente è dedicata alle opere di Cosimo Carlucci, donate alla città di Lecce negli anni Ottanta dallo scultore salentino apprezzato a livello internazionale.

Si fa un passo indietro nella storia, perché da queste parti si incontra l’antico Teatro Romano.

 

Probabilmente databile all’epoca dell’Impero di Augusto, fu scoperto per caso nel 1929 durante i lavori eseguiti nei giardini di due palazzi vicini.

Gli scavi riportarono alla luce la cavea con diametro esterno di 40 metri e diametro interno 19 metri. Alla zona dell’orchestra, che era il luogo riservato all’evoluzione del coro, si accedeva mediante una stretta galleria coperta. Davanti all’orchestra, pavimentata a lastre rettangolari di calcare bianco, si notano tre larghi gradini che girano a semicerchio sui quali venivano, all’occorrenza, collocati seggi mobili riservati ai notabili.

Attualmente tutti i reperti facenti parte del teatro romano di Lecce sono custoditi nell’adiacente museo omonimo. Si presume che il teatro potesse ospitare un pubblico di oltre 5.000 spettatori, per il quale venivano rappresentate tragedie e commedie. Oggi è possibile visitarlo esternamente ed entrare all’interno grazie ai frequenti spettacoli che ancora lo animano.

Sempre della stessa epoca è l’Anfiteatro Romano, nella centralissima piazza Sant’Oronzo.

Entrambi rappresentano i monumenti più espressivi dell’importanza raggiunta da Lupiae, l’antenata romana di Lecce, tra il I e il II secolo d.C.

Augusto, ancor prima di diventare imperatore, passò da Lupiae in un momento particolarmente turbolento. Dopo l’uccisione di Giulio Cesare, cercando in qualche modo di sdebitarsi con l’ospitalità ricevuta si ricordò di Lupiae finanziando la costruzione di questi due grandi edifici da spettacolo.

L’Anfiteatro venne scoperto durante i lavori di costruzione del palazzo della Banca d’Italia, effettuati nei primi anni del ‘900.  Le operazioni di scavo per riportare alla luce i resti dell’anfiteatro iniziarono quasi subito, grazie alla volontà dell’archeologo salentino Cosimo De Giorgi e si protrassero sino al 1940.

Attualmente è possibile ammirare solo un terzo dell’intera struttura, in quanto il resto rimane ancora nascosto nel sottosuolo di piazza Sant’Oronzo.

L’altezza dell’arena originale era ben superiore rispetto a quella odierna. L’anfiteatro misurava all’esterno 102 x 83 metri e poteva contenere circa 25.000 spettatori.

Gli scavi archeologici hanno portato alla luce alcune parti della struttura, in parte scavata nella pietra e in parte costruita su arcate in opera quadrata. Intorno all’arena dalla forma ellittica si aprono le gradinate e due corridoi anulari. Il primo corre sotto le gradinate, il secondo, porticato, è esterno, con i robusti pilastri su cui poggiava l’ordine superiore scandito da archi, come nel Colosseo e nell’Arena di Verona. Oggi, l’Anfiteatro è utilizzato per manifestazioni artistiche e teatrali durante la stagione estiva.

Ed ecco poi Piazza Sant’Oronzo, una delle piazze più belle della Puglia e simbolo della storia millenaria di Lecce.

Uno spazio in cui convivono in armonia stili e forme architettoniche di epoche diverse. Un luogo identitario, culla della vita pubblica della città e tradizionale luogo di incontro dei leccesi.

La piazza, nella sua forma attuale, nacque sulle ceneri del quartiere delle botteghe, raso al suolo quando Piazza Sant’Oronzo era chiamata “piazza dei mercanti”, ben distinta dalla “piazza sacra” che era Piazza Duomo. Un tempo, infatti, era il luogo in cui si svolgevano tutte le attività mercantili della città

La statua bronzea di Sant’Oronzo, patrono della città, realizzata a Venezia nel 1739, veglia sui cittadini dall’alto della sua colonna romana di 29 metri che un tempo segnava la fine della via Appia a Brindisi.

Sotto l’occhio attento del Patrono anche l’Ovale della piazza, realizzato nel 1930 da Giuseppe Nicolardi. Un mosaico che raffigura lo stemma cittadino, una lupa sotto l’albero di leccio, che i leccesi cercano di non calpestare per motivi scaramantici.

A pochi passi, lo splendido edificio cinquecentesco del Sedile, costruito quando la piazza era centro di scambi commerciali e la città ospitava una ricca colonia di mercanti veneziani. Il Sedile, un tempo Palazzo del Seggio, risale al 1592 e fu voluto dal sindaco di origini veneziane Pietro Mocenigo come luogo in cui i governatori davano udienza alla popolazione.

Il Sedile si presenta come una specie di parallelepipedo caratterizzato da due grandi archi gotici che si aprono sulle due facciate principali. Lo stemma di Filippo III di Spagna e la lupa sotto il leccio, simbolo della città, sono scolpiti sulle due chiavi di volta degli archi ogivali, mentre una loggetta rinascimentale corona l’edificio con un sistema d’archi a tutto sesto.

Sant’Oronzo benedice anche Palazzo Carafa, affascinante edificio in stile Rococò, testimonianza del mecenatismo del vescovo Alfonso Sozy Carafa, di cui porta il nome, che insieme all’ architetto Emanuele Manieri fu artefice del rinnovamento urbano della Lecce settecentesca.

Nato dalla ristrutturazione del cinquecentesco Monastero delle Paolotte, oggi è la sede del Comune di Lecce.

La sua forma definitiva, sia nella planimetria che nella facciata, è il risultato dei lavori realizzati tra la fine dell’800 e i primi del’900.

Oggi si può ammirare il monumentale portale principale che, costruito nel 1898, cambiò la composizione del complesso che qualche anno dopo venne definitivamente modificato con la demolizione della Chiesa delle Paolotte, per costruire nuovi ambienti per le attività del Municipio.

L’interno di Palazzo Carafa custodisce l’opera scultorea “Combattimento tra un gladiatore e un reziario” di Eugenio Maccagnani, premiata all’Esposizione Nazionale di Belle Arti del 1880 e il dipinto di Gioacchino Toma “O Roma o morte!” del 1863.

Da Palazzo Carafa si arriva in poco tempo alla vicina Piazzetta Castromediano.

Ed ecco che si resta un’altra volta con il fiato sospeso. L’incantevole e maestosa Basilica di Santa Croce, primo esempio di architettura barocca a Lecce, si presenta davanti come un colpo d’occhio inatteso.

Fondata dal conte di Lecce Gualtieri VI di Brienne nel 1353, regala attimi di contemplazione della sua magnifica facciata. Un grande rosone decorato con fregi floreali, grappoli di frutta e cherubini viene affiancato da altrettante decorazioni scultoree con figure simboliche, cariatidi, animali, in un esemplare unico considerato una specie di grandioso altare esterno. Una meravigliosa ricchezza ornamentale resa possibile dalla morbida pietra leccese adatta ad essere scolpita nei minimi particolari

L’incredibile spettacolo di stili diversi della complessa facciata si deve ai più grandi architetti della Lecce cinquecentesca e seicentesca che contribuirono alla sua realizzazione come Gabriele Riccardi, Cesare Penna e Giuseppe Zimbalo.

Quest’ultimo rappresenta uno dei principali interpreti del barocco leccese, che qui realizza una sorta di sintesi dell’intera facciata, ovvero il trionfo della Croce che guida la vita di tutti gli uomini che cercano Dio. L’interno della Basilica, a croce latina, è diviso in tre navate da colonne con capitelli scolpiti, arricchito dall’altare di San Francesco di Paola, decorato con dodici bassorilievi raffiguranti la vita del Santo.

Proprio accanto alla splendida basilica ha sede Palazzo dei Celestini, un altro monumento barocco di Lecce che per tre secoli fu sede del convento dei padri celestini.

I lavori per la sua costruzione iniziarono nel 1549 su progetto di Gabriele Riccardi, e completati nel secolo successivo.

Il progetto del prospetto, invece, fu affidato a Giuseppe Zimbalo che lo volle in continuità con la facciata della Basilica di Santa Croce per costituire così un’imponente scenografia. Il Convento, caratterizzato da una straordinaria facciata barocca a bugne, divenne nel corso dei secoli un centro di cultura molto attivo per gli studi di teologia e filosofia.

Nel primo Ottocento, con la soppressione degli ordini monastici, il convento passò al Comune di Lecce che lo scelse come Palazzo del Governo. Per adeguarlo alla nuova funzione furono eseguiti grandi lavori sia nel cortile cinquecentesco sia negli spazi interni. Oggi ospita l’Amministrazione Provinciale e la Prefettura.

Alle spalle di Palazzo dei Celestini si viene proiettati in un’altra sezione della città affacciandosi sulla Villa Comunale. Poco distante si presentano, in sequenza, due importanti teatri.

Il primo è il Politeama Greco, monumento nazionale dal 1979 per il suo pregevole valore storico ed artistico.

Il “Politeama”, come viene chiamato dai leccesi, è fra i più grandi e antichi teatri di Puglia. La sua costruzione risale all’Ottocento e fu il secondo teatro del Sud Italia, dopo il San Carlo di Napoli. Nella seconda metà dell’Ottocento, il leccese Donato Greco volle sostituire l’unico e piccolissimo teatro dove si svolgevano le prime rappresentazioni teatrali e liriche con uno più adatto ad ospitare un pubblico di appassionati che diveniva sempre più numeroso.

Così il Politeama prese il suo attuale nome, proprio dalla famiglia che lo ha voluto e realizzato e che tuttora ne detiene la proprietà. La struttura fu inaugurata il 15 novembre 1884 con la rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi, mentre nel 1894 fu rappresentata, per la prima volta in Italia, l’edizione riveduta del primo atto della ‘Manon Lescaut’ di Giacomo Puccini.

Nel 1926 l’allora direttore artistico, il celebre tenore Tito Schipa, fece realizzare il “golfo mistico”, ossia la fossa orchestrale. Negli anni successivi sono stati realizzati altri lavori che hanno consentito di conservare, ma anche di valorizzare questo splendido teatro di Lecce.  Oltre alla Stagione lirica, manifestazione storica per la città, il Teatro Politeama Greco propone un programma di Stagione Teatrale con spettacoli di prosa, musical, cabaret, balletti e concerti.

Poco più avanti si incontra il Teatro Apollo.

Considerato una delle più pregevoli opere architettoniche del Salento, il teatro risale ai primi anni del Novecento, come mostra lo stesso stile neoclassico della facciata esterna con colonne e capitelli.

Fu consegnato alla città il 15 maggio 1912, quando venne costruita solo la “Sala Apollo”, mentre per il teatro vero e proprio si dovette aspettare il 1926.  In seguito ad un lunghissimo periodo di inutilizzo, che vide la sua chiusura alla fine degli anni Ottanta, è stato riaperto di recente dopo un restauro della struttura.

La maestosità dell’esterno cela un ambiente interno molto elegante e moderno con marmi e parquet, che conserva ancora gli stucchi originali, recuperati insieme ai capitelli dei pilastri e agli stucchi in cartapesta dell’atrio principale. I lavori di ristrutturazione del Teatro Apollo sono stati anche un’occasione per riportare alla luce preziose testimonianze del passato, grazie al ritrovamento di diversi reperti risalenti all’età neolitica.

Poco distante dal Teatro Apollo uno degli ingressi del Castello Carlo V.

Maestosa fortificazione di Lecce, risale all’epoca normanna, ma è noto in realtà per il nome del sovrano spagnolo che, nel Cinquecento, ne decretò l’ampliamento, il potenziamento difensivo e la ristrutturazione.

I lavori di riorganizzazione del Castello iniziarono, infatti, nel 1537 e furono probabilmente affidati a Gian Giacomo dell’Acaya, ingegnere generale del Regno di Napoli, e si conclusero già nel 1553, donando alla fortezza l’assetto odierno.

La struttura conserva l’originale impianto trapezoidale con quattro imponenti bastioni angolari a punta di lancia. Il corpo centrale all’interno dell’edificio risale al XII secolo, mentre la cosiddetta Torre Quadrata, il mastio quadrangolare inglobato nella costruzione cinquecentesca, è probabilmente angioina.

L’unica porta che consentiva l’accesso dalla città era la cosiddetta Porta Reale, ma un altro ingresso si trovava sul lato opposto e su entrambi era presente lo stemma imperiale asburgico. Le numerose mostre d’arte e gli eventi culturali ospitati nel Castello offrono l’occasione di apprezzare il rigore architettonico degli esterni, tipico delle strutture difensive cinquecentesche

Ma il Castello Carlo V ospita anche un museo dedicato all’antica arte salentina della cartapesta.

Il Museo della Cartapesta rappresenta la prima raccolta organica di opere e modelli figurativi dei più importanti cartapestai di Terra d’Otranto. La lunga storia della produzione di cartapesta leccese è raccontata nelle sale del castello in una combinazione di tradizione e sperimentazione.

Carta, paglia, stracci, colla e malta, questi i materiali poveri che hanno dato vita alla carta pesta leccese. L’arte di modellare la cartapesta guadagnò popolarità e furono così creati numerosi laboratori d’artigianato. Questi produssero molte statue di Madonne e santi tra il XVII e XVIII secolo che venivano mostrate durante le processioni religiose.

Un altro simbolo dell’antica fortificazione leccese si trova dalla parte opposta della città.

Le Mura Urbiche rappresentano un elemento unico ed imprescindibile dell’identità storico-culturale della città di Lecce. Queste, insieme al Castello Carlo V, costituiscono la parte più rappresentativa della cinta muraria di età spagnola che per oltre tre secoli, da metà del 1500 fino alla fine del 1800, ha circondato Lecce

Entrambe rappresentano il risultato dell’abilità architettonica del regio ingegnere militare Giangiacomo dell’Acaja, che progettandoli prese decisioni innovative per rendere più sicura la fortificazione della città di fronte ad eventuali attacchi da parte dell’Impero Ottomano.

Il Parco delle Mura Urbiche, invece, è uno spazio pubblico estremamente ricco di segni che raccontano le stratificazioni di oltre 2000 anni della storia della città di Lecce. Il parco si presenta come un affascinante paesaggio di pietra, un luogo dove scoprire visuali finora inedite sulla città di Lecce muovendosi agevolmente a piedi o in bicicletta in una serie di percorsi che connettono il parco ad altri ambiti della città.

Nel parco è stata introdotta una passerella in acciaio dalla quale si accede tra le mura del giardino del cinquecentesco Palazzo Giaconia. Un nuovo collegamento che dal Parco delle Mura porta nel centro storico della città.

Nelle vicinanze il Convento degli Agostiniani, probabilmente il più antico della Puglia, che ancora oggi riesce ad affascinare con la sua bellezza mistica.

Il complesso conventuale conserva nel suo insieme le caratteristiche tipologiche e distributive proprie dell’impianto originario.

A due piani, il convento si sviluppa attorno ad una corte quadrangolare. Le facciate sono caratterizzate da una grande semplicità, quasi un simbolo della povertà dei monaci che lo hanno edificato, presentando decorazioni murarie lisce scandite da modeste aperture per le finestre e per gli ingressi, in pochi casi nobilitate dalla decorazione di una cornice.

L’intero complesso architettonico è stato restaurato ed aperto al pubblico di recente con il completamento degli spazi esterni e del Giardino d‘Ognibene.

Un giardino produttivo con frutteto, caratterizzato da specie arboree autoctone e tipiche del paesaggio agrario salentino tra cui querce, cipressi e specie da frutto ed orti ornamentali.

Per restare in tema religioso, a Lecce, si svolge un evento di particolare importanza molto caro ai cittadini. Si tratta della festa patronale di Sant’Oronzo, protettore della città, insieme a Giusto e Fortunato.

Lecce festeggia Sant’Oronzo il 24, 25 e 26 agosto, in ricordo del suo martirio. La festa risale al 1600, periodo in cui la leggenda devozionale vuole Sant’Oronzo liberatore dei leccesi dalla peste. Fu così che Sant’Oronzo divenne ufficialmente patrono della città al posto di Santa Irene e nello stesso anno si aggiunse il patronato di San Fortunato.

Nel più classico dei canoni salentini, la ricorrenza comprende la lunga e partecipata processione con i simulacri dei santi, le esibizioni delle bande musicali e le tradizionali passeggiate tra le bancarelle, a cui fanno da cornice le luminarie in un’atmosfera di colori e profumi che anima il centro storico.

Proprio durante festività tradizionali come quella del Santo Patrono si possono scoprire prelibatezze particolari.

Tra le bancarelle di Sant’Oronzo, infatti, non mancano mai due specialità. La prima è la scapece, piccoli pesci come “ope” e “pupiddhri”, fritti e amalgamati in un composto di mollica di pane, zafferano e aceto. La seconda è la cupeta, particolare tipo di torrone croccante fatto di mandorle e zucchero.

Semplicità degli ingredienti ed unicità dei sapori caratterizzano anche la cultura gastronomica salentina. Lecce offre prodotti e ricette gustose che risalgono alla tradizione contadina e che spesso rivelano origini antichissime.

Bontà per tutti i gusti che si abbinano alle fasi della giornata. A partire dalla colazione che vede protagonista il pasticciotto, cofanetto di pastafrolla che racchiude un cuore morbido di crema pasticcera. Una delizia da accompagnare con un espressino, una specie di piccolo cappuccino servito in tazza di vetro, oppure in estate con un caffè in ghiaccio, semplice o con latte di mandorla.

Uno spuntino ottimo a qualsiasi ora è il rustico, prodotto di rosticceria fatto di pasta sfoglia e ripieno di besciamella, mozzarella, pomodoro e un pizzico di pepe. A questo segue il calzone fritto o altri prodotti da forno come pucce e pizzi.

A tavola c’è l’imbarazzo della scelta tra ristoranti, trattorie e locali di ogni tipo che propongono, in maniera classica o rivisitata, alcuni piatti della tradizione.

Antipasti come le “pittule”, palline di impasto di pizza fritte, da gustare semplici o farcite con olive nere, pomodoro e capperi.

Primi piatti che valorizzano in maniera egregia ortaggi e legumi, come “ciceri e tria”, minestra di ceci e pasta fresca, in parte lessa e in parte fritta. Fave e cicorie, una morbida purea di fave con cicorie spontanee innaffiate di olio extravergine d’oliva a crudo e accompagnata da pezzi di pane fritto. E ancora i “muersi”, piatto povero, ma ricco di gusto con piselli secchi, verdure e pezzi di pane di grano fritto.

Seguono due altri simboli della cucina tipica locale: le sagne ncannulate, tipo di pasta fresca ricamata e arrotolata con un ferretto da gustare con sugo di pomodoro, e i pezzetti di carne di cavallo al sugo, gustosissimo spezzatino un tempo preparato nelle “pignate” di terracotta. Più difficili da trovare, invece, i “triddhi”, pasta fresca all’uovo di minuscole dimensioni con formaggio e prezzemolo che si ottiene sbriciolando l’impasto per poi cuocerla in brodo.

Da non dimenticare la cotognata leccese, una specie di confettura solida di mele cotogne che ricorda ancora oggi l’abilità contadina di trasformare in prelibatezze i prodotti più poveri. Poi lo spumone salentino, un gelato di gusti misti, di solito nocciola, cioccolato e stracciatella, con all’interno mandorle tritate, cioccolato fondente a pezzi, canditi e caramello.

Una volta preparato viene fatto solidificare in ciotole rotonde che gli donano forma di una semisfera. E per concludere, i dolci di pasta di mandorla che, a Natale e Pasqua, difficilmente possono mancare sulle tavole dei leccesi.

La passeggiata potrebbe continuare lasciandosi andare al richiamo di vicoli e piazzette Città di architetti, scalpellini e artisti, Lecce è la città del barocco e dei ricami di pietra, il capoluogo del Salento, a soli 12 km dal mare Adriatico. Dalle forti radici messapiche e chiamata Lupiae sotto il dominio romano, la città accoglie con il fasto del suo barocco che fa capolino nei portali dei palazzi e dalle facciate delle tantissime chiese che si snodano lungo le vie racchiuse dalle tre antiche porte di accesso alla città, Porta Rudiae, Porta San Biagio e Porta Napoli.

Alessandro Campa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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