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Senza filtri: dall’America le ragioni del successo dello smart working

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Conosci la differenza tra accountability e ownership?

La pandemia globale di Covid-19 ha costretto la maggior parte di noi a cambiare il nostro modo di lavorare. Siamo stati costretti, con piacere o a malincuore, a lavorare da casa quando possibile. Certo, i primi giorni sono stati duri per molti.

Problemi di logistica, dall’adattarsi a lavorare sul piccolo schermo del portatile al non poter stampare liberamente le centinaia di pagine a cui eravamo abituati in ufficio, oppure quella sedia scomoda della cucina che nulla aveva a che vedere con quella basculante dell’ufficio, per non parlare di quella maledetta connessione lenta da casa che spesso complicava le frequenti teleconferenze.

Ma anche barcamenarsi tra il lavoro e la funzione di babysitter/insegnante a domicilio, che concedeva poca concentrazione e richiedeva sforzi di memoria immani, per ricordare delle semplicissime cose da scuola elementare che però oggi, a distanza di 40 anni, mi sembravano più difficili delle lezioni del mio master in amministrazione d’impresa.

Ricordo ancora quel giorno in cui mia figlia mi disse: “papà oggi voglio lavorare con te, mettimi una scrivania affianco alla tua e studio mentre tu lavori”. In meno di due secondi avevo realizzato che non avrei concluso nulla di produttivo quel giorno. Già vi vedo sghignazzare mentre ricordate che qualcosa di simile è capitato anche a voi.

Eppure, dopo i problemi iniziali di adattamento, in molti hanno cominciato a trovarsi bene in quella nuova dimensione casalinga, diventando, in molti casi, anche più produttivi.

Non sono pochi, infatti, i capi ufficio che hanno dovuto ricredersi sul loro scetticismo del lavoro da remoto, o smart working come lo chiamano in molti, ammettendo che la nuova “normalità’” in effetti portava dei vantaggi.

Molte aziende hanno analizzato la situazione solo da un punto di vista economico.

Pur avendo notato le buone performance da casa, l’interesse è caduto sul fatto che l’ufficio risparmiava di corrente, telefonia, pulizie, mensa dove disponibile, e consumabili (carta per stampante, toner etc.), cominciando a valutare l’opzione di adattarsi a questa nuova modalità. Poche aziende, però, quelle con visioni più lungimiranti, hanno carpito il vero vantaggio.

Lo smart working è vero che produce minori costi, ma stimola i dipendenti ad essere più performanti, a lavorare e rendere di più.

Qui negli Stati Uniti, dove vivo e lavoro, ha fatto notizia l’iniziativa di Google, che addirittura ha scelto di incentivare lo smart working, garantendo ai dipendenti una somma, mille dollari, da spendere per attrezzare al meglio la postazione di lavoro domestica.

Di recente ho svolto diverse ricerche, per alcune aziende americane, sullo stato d’animo dei dipendenti costretti a casa dal lockdown. La maggior parte dei dipendenti esprimeva una crescente soddisfazione nel lavorare da casa, potendo eliminare i tempi di spostamento da e per il luogo di lavoro e gestendo il proprio tempo in maniera diversa.

In effetti anche i dirigenti, che mi avevano commissionato il lavoro, confermavano il buon andamento dell’azienda nonostante il periodo contingente.

Ma perché’ nonostante le avversità i dipendenti rendevano di più lavorando da casa?

 Da un punto di vista manageriale la spiegazione è semplice. La gestione del personale può avvenire mediante due semplici metodi.

Qui negli USA vengono definiti ‘accountability” e “ownership”.

La maggior parte dei managers scelgono un approccio basato sull’accountability.

Accountable, in inglese, significa rendere conto a qualcuno delle proprie azioni. Seguendo questa dottrina, l’operato del dipendente deve essere sempre misurabile e controllabile, per poter permettere al proprio superiore di poterne verificare l’efficienza.

Di contrasto, la dottrina dell’ownership (possesso) prevede che il dipendente abbia pieno possesso del proprio operato, determinandone priorità e modalità.

Dunque, quali sono le differenze e quali sono le correlazioni con il lavorare da casa o in ufficio?

Quando si lavora in ufficio, la maggior parte dei dipendenti non cerca motivazioni, ma mira a soddisfare le aspettative del proprio capo più che soddisfare le proprie. Molti capi e datori di lavoro credono che tenere i dipendenti “accountable”, fa sì che loro siano produttivi, in quanto controllabili, senza capire che in molti casi la loro motivazione diventa esclusivamente quella di soddisfare il capo dipartimento o capo azienda, dando vita ad una generazione di yes men.

Troppo spesso si evita di dire ai dipendenti: own the project, sentilo tuo.

Dare la facoltà al dipendente di sentire il lavoro proprio, gestirlo come meglio si crede, fa si che ci sia la motivazione nel concluderlo al meglio, come se fosse un successo proprio, aumentando il senso di appartenenza all’azienda, più che al capo.

C’è una vignetta che gira da molti anni su internet, molto esplicativa, che raffigura un “boss”, posizionato dietro i dipendenti, che impartisce loro ordini, messa a confronto con un “leader” che, posizionato davanti i dipendenti, insegna loro come svolgere il lavoro, mettendosi per primo in gioco.

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La pandemia, dunque, non ha solo costretto i dipendenti a lavorare da casa, ma ha costretto anche i loro superiori ad applicare la dottrina dell’ownership, forzandoli a fidarsi dei propri dipendenti e della loro gestione.

Molte persone hanno così potuto scoprire proprie qualità manageriali che mai, o raramente, avevano potuto esprimere in ufficio.

Dunque, la vera rivoluzione copernicana non sta nelle cose materiali, luoghi, mezzi di lavoro, prodotti, che la pandemia ha costretto al cambiamento. Ma nel fattore umano di dipendenti che hanno scoperto di avere qualità gestionali e managers che hanno scoperto di dover essere leaders più che boss.

Anche se in modo del tutto casuale, questa pandemia sta forzando le aziende a creare quella che io chiamo Branded Employee Experience, dove l’esperienza del dipendente finalmente comincia a coincidere con quella del proprio management e della propria azienda, sovrapponendo il successo personale con quello del marchio aziendale.

I valori del dipendente finalmente cominciano a trasferirsi pian piano nel marchio aziendale e viceversa.

Come al solito le aziende più innovative e lungimiranti, come Google, sono quelle che per prime hanno intuito la rivoluzione e i benefici dello smart working, che pian piano diventerà la nuova normalità per molte aziende.

Marcello Sasso
Vice President – Aimpoint Research

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