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Roccamonfina, la storia di un vulcano spento

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Nel cratere del vulcano spento di Roccamonfina, sulle pendici orientali del monte Santa Croce sorge un piccolo paese

 

Alla scoperta di Roccamonfina,un vulcano spento della Campania. Roccamonfina  è un comune in provincia di Caserta (Campania). l territorio del comune fa parte del Parco regionale di Roccamonfina e Foce del Garigliano. Il paese si trova a circa 600 metri sopra il livello del mare, all’interno del cratere dell’antico omonimo vulcano, sulle pendici orientali del monte Santa Croce, che ne costituisce il cono terminale. A raccontare la storia di questo vulcano spento è Donatella De Rita, docente in scienze geologiche presso l’Università Roma 3 che ci parlerà del vulcano di Roccamonfina, oggi un pezzo di mondo coperto di castagneti.

Il vulcano di Roccamonfina al confine tra Lazio e Campania è il più meridionale dei Distretti vulcanici alkalino-potassici del Lazio. E’ considerato estinto e la sua attività eruttiva è datata tra 630.000 e 50.000 anni fa. Il vulcano occupa attualmente un’area di circa 450 kmq per un diametro di base di circa 15 Km, la sua cinta calderica di forma ellittica allungata in direzione NW-SE  ha un diametro di oltre 6 Km e l’attuale edificio ha  un’altezza di 1006 metri.  Questi numeri ne fanno un vulcano di dimensioni ragguardevoli maggiori per esempio di quelle del Vesuvio di cui ricorda la struttura morfologica. Infatti come il Vesuvio, Roccamonfina può essere classificato come un vulcano poligenico con caldera sommitale derivata dal collasso del vulcano  primordiale entro cui si è edificato un nuovo vulcano che in Roccamonfina è rappresentato dall’effusione dei domi Lattani.

Il vulcano è poligenico, che deriva dal collasso del vulcano primordiale, quali sono le altre origini e come si caratterizzano?

I domi Lattani perché hanno questo nome?

Da un punto di vista strutturale, il vulcano di Roccamonfina è nato all’interno di un’area depressa detta Graben del Garigliano, una struttura tettonica estensionale limitata da faglie a prevalente direzione NW-SE e SE-NW che si è sviluppata per lo stiramento della crosta terrestre a seguito dell’apertura del Tirreno. Infatti lo scivolamento della placca del Mar Adriatico sotto quella del Tirreno lungo un piano di Benioff molto inclinato, a partire da circa 5 milioni di anni fa,  ha lentamente e letteralmente stirato la crosta tirrenica fino a permettere la risalita diretta del mantello ed alimentare così il vulcanismo detto di retro-arco, perché si sviluppa dietro il fronte  orogenico, dell’Italia centrale dalla Toscana alla Campania.   La natura alkalino-potassica del magma si deve al fatto che il magma si origina da un mantello fortemente contaminato dai sedimenti della placca adriatica in subduzione.

In particolare Roccamonfina si localizza all’intersezione di due graben minori molto stretti orientati ENE-ONO e N-S.  la sismicità storica indica che il Graben ad orientamento N-S è ancora attivo. I magmi alkalino potassici di Roccamonfina appartengono a due serie: una ad alto contenuto in K e l’altra a baso contenuto in potassio. 

La storia geologica del vulcano di Roccamonfina è stata suddivisa in tre epoche eruttive principali, separate da periodi di quiescenza e caratterizzate da importanti variazioni delle modalità eruttive La I Epoca eruttiva è compresa tra 630.000 a 374.000 anni fa.  Nel corso di questa Epoca furono eruttati circa 100-120 km3 di lave e prodotti piroclastici

In un primo momento, il magma raggiunse la superficie lungo un sistema di dicchi orientati in direzione NE-SW, che alimentarono  una serie di piccoli centri eruttivi distribuiti su di una superficie di circa 1000 km2  per lo più ai margini del Graben.  Quindi l’attività eruttiva si concentrò verso il centro del Graben ed iniziò la costruzione dell’edificio centrale di Roccamonfina.

Roccamonfina si configurò come uno strato vulcano edificato dall’alternanza di lave e depositi piroclastici. Le lave che nelle prime fasi furono molto abbondanti hanno composizione tefritico-leucitica. I depositi piroclastici derivano da attività da stromboliana a sub-pliniana con la messa in posto di depositi da caduta, costituiti da bancate di scorie e/o pomici alternate a livelli cineritici, e di piccole e medie colate piroclastiche.   Da un punto di vista petrografico questo periodo che va dai 549.000 ai 374.000 anni fa è caratterizzato dall’emissione di magmi ad alto contenuto in potassio. E’ stato ipotizzato che l’edificio di Roccamonfina raggiunse un’altezza di 1600.1800 metri.

La fine della prima epoca eruttiva viene posta dai geologi intorno ai  400.000 anni fa, quando la rapida crescita dello strato vulcano si tradusse in uno stato di instabilità dell’edificio stesso. In queste condizioni, l’azione della tettonica estensionale regionale che si manifestò probabilmente attraverso sismicità, causò  il collasso gravitativo del settore orientale dello strato-vulcano.  I geologi ipotizzano che il momento del collasso dell’edifico coincise con una fase di incremento nella velocità di estensione crostale che determinò il riattivarsi dei sistemi di faglie regionali responsabili della formazione del graben del Garigliano. Per questo motivo,  la fase di individuazione della caldera principale di Roccamonfina è anche caratterizzata dallo sviluppo di altre strutture di collasso poste poco più a Nord, quella della caldera de Gli Stagli e della Valle all’interno di una più generale struttura di collasso guidata dall’azione della tettonica regionale e dall’emissione di lave e piroclastiti da centri locali.  Lo sviluppo di queste caldere è definito incrementale perché appunto guidato da una combinazione di fasi di subsidenza controllate dalla tettonica estensionale e da una serie di eruzioni di moderata esplosività da centri locali.

Il collasso settoriale del vulcano strato di Roccamonfina ebbe sicuramente un’influenza sulle condizioni dinamiche della camera magmatica; infatti l’attività del vulcano subì un cambiamento significativo aumentando il carattere di esplosività. La seconda fase del vulcano di Roccamonfina compresa  tra 385.000 e 250.000 anni fa è caratterizzata prevalentemente  dall’emissioni di ingenti volumi di colate piroclastiche di medio e grande volume.  Circa 385.000 anni fa fu  eruttato il così detto  “Tufo Leucitico Bruno”. Con la dizione “Tufo Leucitico Bruno” si indica in verità una successione di ignimbriti, almeno otto,  derivate da eruzioni da sub-pliniane a pliniane con collasso della colonna eruttiva, separate da pause valutate dell’ordine di 4000 anni. Questa valutazione è stata possibile grazie al ritrovamento al tetto di una delle otto ignimbriti,  quella datata  345.000 anni fa circa, di impronte umane, in località La Foresta.   Attenti studi della stratigrafia, la datazione delle ignimbriti a tetto e letto di quella interessata dalle impronte  e l’analisi del processo di litificazione delle ignimbriti, hanno portato a dedurre che l’uomo ha lasciato la sua impronta quando l’ignimbrite era ancora plastica ma sufficientemente fredda da non ustionare  e cioè dopo un certo intervallo di tempo dal momento eruttivo per permettere all’ignimbrite di abbassare la temperatura insieme all’azione delle acque meteoriche ma prima che il processo di indurimento ad opera della formazione delle zeoliti per alterazione della matrice vetrose dell’ignimbrite la rendesse solida.

Dopo le eruzioni del ‘Tufo leucitico Bruno’ a partire da circa 327.000 anni fino a 230.000 anni fa il vulcano eruttò ancora una serie di ignimbriti note nel loro insieme con il nome di “Tufi Trachitici Bianchi”.  Si tratta di almeno 8 ignimbriti principali, di grande volume  più altre due unità di modesto volume e limitata estensione.  La successione delle ignimbriti è localmente  separata da spessi depositi piroclastici a composizione basaltica, trachi-basaltica e trachitica, tanto che alcuni Autori parlano di un “Tufo trachitico bianco inferiore” datato tra 327 e 288.000 anni fa  e di un “Tufo trachitico Bianco superiore” datato  tra 230 e 90.000 anni fa. I Tufi Bianchi trachitici appartengono comunque alla serie bassa in potassio.  Le eruzioni avvennero da una serie di centri situati all’interno della caldera, lungo faglie a direzione NE-SW. I crateri di queste eruzioni di ignimbriti sono stati riconosciuti a Cupa, Aulpi, S. Clemente e Galluccio.

Nel corso della II Epoca eruttiva furono messi in posto 8.5-11 km3 di magma, sotto forma di depositi piroclastici da flusso (ignimbriti) e, subordinatamente, da surge e da caduta.

La fine della seconda Epoca dell’ attività del vulcano di Roccamonfina viene posta dai geologi al termine dell’emissione delle grandi ignimbriti. L’ultima fase di attività di Roccamonfina che si protrae almeno fino a 50.000 anni fa è caratterizzata da modeste eruzioni esplosive, alcune delle quali di tipo freatomagmatico, e dalla formazione di due cupole laviche all’interno dell’area della caldera, lungo un sistema di fratture a direzione NE-SW, quella di Santa Croce dei Lattani. Una ridotta attività effusiva ed esplosiva, inoltre, fu attiva lungo faglie orientate in direzione N-S, che attraversano tutte le preesistenti strutture del vulcano. Il volume totale di magma eruttato nel corso di questa epoca è di circa 1 km3.

Attualmente del grande strato vulcano di Roccamonfina resta una parte del cono troncata dalla struttura calderica di forma ellittica da cui emergono le cupole dei domi Santa Croce e Lattani  separati dalla cinta da un solco anulare parzialmente riempito dalle eruzioni successive.

L’area del vulcano è ancora interessata  da una modesta sismicità  ed è ricca di sorgenti  termali e acque oligominerali a Sessa Aurunca, Francolise e Teano La fertilità del suolo ha permesso la creazione di fitti boschi di castagni.

Professoressa Donatella de Rita, se un vulcano è estinto, come quello di Roccamonfina, quali vantaggi porta, per la società scientifica, studiarlo?

 

Studiare i vulcani estinti è estremamente importante perché sono la testimonianza di quello che è accaduto nel passato e che potrebbe ovviamente verificarsi in futuro e quindi in realtà noi consideriamo il passato come la chiave per capire il presente e quindi è fondamentale conoscere tutte le fasi e le modalità con cui questi vecchi vulcani si sono evoluti per poterli applicare allo studio dei vulcani attuali come per esempio il Vesuvio, soprattutto nel caso che mostrino similitudini, come è appunto il caso tra Roccamonfina e il Vesuvio stesso. (com)

Scarica l’audio sulla storia del Vulcano di Roccamonfina. 

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