covid19 a rischio occupati

Il dopo COVID-19: a rischio 11 milioni di occupati, spina dorsale del nostro Paese

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Ossigeno subito per salvare le micro, piccole e medie imprese italiane che rappresentano il 21% del PIL.

Abbiamo già discusso dell’emergenza per le piccole e medie aziende che hanno necessità di un sostegno immediato altrimenti rischiano di non riuscire a venir fuori da quella che si preannuncia come la più grande recessione globale dal secondo dopoguerra. Vogliamo però ora dare un’idea dell’entità del problema con delle cifre che spieghino meglio a cosa rischiamo di andare incontro.

Si è già detto che il sistema delle piccole aziende è la spina dorsale del nostro sistema economico e un indispensabile sostegno alla grande industria. Vogliamo però dare un’idea delle cifre in gioco.

Iniziamo con il capire meglio a quali aziende ci riferiamo: generalmente per micro imprese si intendono le aziende che hanno meno di dieci dipendenti e meno di due milioni di euro di fatturato (o di attivo di bilancio), per piccole imprese si intendono quelle che hanno meno di 50 dipendenti e 10 milioni di euro di ricavi (o di attivo), mentre le medie imprese sono quelle che hanno meno di 250 dipendenti e 50 milioni di ricavi.

Facendo delle stime sugli ultimi dati Istat disponibili per il settore dell’industria e dei servizi occupano meno di 50 addetti, emerge che le micro e piccole imprese rappresentano:

  • 4,3 milioni di aziende (il 99,4% del numero complessivo di aziende);
  • 11 milioni di occupati, pari al 65% degli occupati totali;
  • Un fatturato complessivo di 1.370 miliardi di euro, con un valore aggiunto di oltre 370 miliardi di euro, pari al 21% circa del PIL italiano.


Fonte: elaborazione sui dati Istat 2017

Stiamo quindi parlando della parte sostanziale e preponderante del nostro sistema produttivo e sicuramente anche la più esposta alla crisi in questo momento. Parliamo di 11 milioni di occupati e il 21% del PIL, a cui andrebbe aggiunto anche il peso dell’indotto, che rischiano di essere travolti da questa crisi.

Nessuno è probabilmente in grado in questo momento di fare delle stime accurate, dato che lo scenario economico dipenderà dai tempi di rientro dall’emergenza sanitaria.

Alcuni studi recenti ipotizzano che alla fine del 2020 la contrazione dei ricavi per le imprese italiane possa arrivare mediamente anche al 20% e altri prevedono che un terzo degli esercizi commerciali non sarà in grado di riaprire una volta terminata l’emergenza sanitaria.

Sono previsioni tutt’altro che pessimistiche. Proviamo a fare un ragionamento semplice: ipotizziamo che la stragrande maggioranza delle aziende non avrà avuto modo di generare ricavi significativi per il periodo di lockdown, che si auspica duri ancora per poco, ma più probabilmente avrà una durata complessiva di circa 2 mesi.

A molte aziende quindi mancheranno due mesi di ricavi, a cui si sommerà un ulteriore periodo necessario per ritornare alla piena operatività (basti pensare ai settori del turismo, dei trasporti, etc.).

Se considerassimo mediamente dai tre ai quattro mesi di mancati ricavi, vorrebbe dire una contrazione compresa tra il 25% e il 33% su base annua, ma ovviamente ci si augura che una parte di questi ricavi possa essere recuperata nei mesi successivi.

Per fare un’analogia, è come se ad una famiglia non venissero corrisposti gli stipendi per tre o quattro mesi. Come farebbe questa famiglia nel frattempo a pagare le bollette, fare la spesa, pagare le rate del mutuo, etc.? Nel caso delle imprese, si tratterà di pagare gli stipendi dei propri collaboratori, gli affitti, gli acquisti dei materiali, etc.

Da qui la necessità di un immediato sostegno finanziario alle imprese che consenta di far fronte ai mancati incassi di questo periodo e poter ripartire, altrimenti alla contrazione dei ricavi per la mancata attività di queste settimane si aggiungerebbe anche il drammatico impatto recessivo sull’intero sistema economico conseguente alla cessazione dell’attività di numerose di queste aziende e il connesso risvolto occupazionale.

Data per scontata la necessità di un intervento pubblico a sostegno delle imprese, ci si interroga in questi giorni sulla compatibilità di un simile intervento con la tenuta dei nostri conti pubblici. Di fronte a noi abbiamo però solo due scenari:

  • quello timido, dove un intervento poco coraggioso avrebbe plausibilmente un limitato effetto sulla tenuta del sistema delle piccole e micro-imprese, innescando una spirale recessiva, elevati tassi di disoccupazione e un circolo vizioso di deficit e debito pubblico fuori controllo.
  • Quello più coraggioso, che non passa dall’erogazione diretta di somme a favore dell’impresa, ma di garanzia pubblica sugli affidamenti che le banche erogheranno alle imprese. Solo se le imprese tornano a produrre, allora il sistema economico riparte e avremo la possibilità di mantenere l’equilibrio nei conti pubblici.

Bisogna evidentemente sfruttare l’apertura data dall’Europa, assimilando questo intervento alle spese sostenute per fronteggiare l’emergenza Covid-19 e, allo stesso tempo, scomputare queste somme dal calcolo del debito pubblico. Oggi avremmo la possibilità di lanciare un intervento strutturale a sostegno delle piccole imprese che sarebbe anche una forma di sostegno al sistema bancario.

A tal proposito, la garanzia pubblica deve necessariamente coprire per intero l’affidamento erogato all’impresa, altrimenti le banche avrebbero il problema di non avere capitale sufficiente per la quota non garantita.  Semmai l’importo dell’affidamento può essere differenziato in base alla dimensione dell’azienda.

Abbiamo provato a stimare la possibile entità di questo intervento, differenziandolo per classe dimensionale di impresa.

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Escludendo meccanismi complessi di valutazione del merito di credito, vista l’impossibilità di applicarli in questo frangente, si è ipotizzato un finanziamento rapportato al fatturato dell’ultimo anno e in percentuale decrescente al crescere della dimensione aziendale.

Un possibile schema potrebbe, ad esempio, concedere un affidamento pari al 40% del giro d’affari dell’ultimo anno per le micro aziende, per scendere al 30% per le piccole e al 20% per le medie imprese. Arriveremmo così ad un totale di circa 600 miliardi di euro che sarebbero erogati dal sistema bancario (e non dal Governo).

Gli istituti di credito potrebbero così erogare affidamenti a lungo termine (es. 20 anni) a costo calmierato (es. 1 o 1.5%) e senza rischio perché coperti dalla garanzia pubblica con un evidente impatto positivo anche sulla tenuta dei conti dell’intero sistema bancario, che è stato ultimamente messo anch’esso a dura prova dalle sofferenze e dall’inasprimento dei requisiti imposti dalla vigilanza.

Come già ribadito, questo intervento, per essere efficace, deve essere immediato e generalizzato.

Potrebbe essere anche una buona occasione per alleggerire il fardello della burocrazia italiana che grava ancora sulle imprese e sui cittadini. Alcuni stimano che le aziende abbiamo speso 57 miliardi di euro nel 2018 per gestire i rapporti con la pubblica amministrazione (circa il 3% del PIL). In questi tempi dovremmo gestire in maniera più oculata le risorse disponibili.

Cosimo Santoro
Finance Director
Value Partners

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coronavirus, COVID19, pandemia, rischio economia

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